Dopodiché lo storico tracciato italiano assurse a palcoscenico dell’ulteriore dimostrazione di come, oltre alla propria attitudine e alla competitività della monoposto, la tempra giochi un ruolo fondamentale nella definizione di un pilota di Formula 1. Sì, perché tra tutti gli elementi che concorrono a distinguere un talento da un campione, conta anche – e soprattutto – il sapersi trovare al posto giusto, al momento giusto. Con un pizzico di fortuna, ma con tanto genio, spirito di adattamento e capacità nel costruirsela quella situazione.
Lo si è visto, ancora una volta negli ultimi quattro anni, con Lewis Hamilton e Valtteri Bottas. Riportati a mastrino la dubbia tempistica della Virtual Safety Car per l’inglese e il danno al fondo vettura per il finlandese, Hamilton si è reso protagonista dell’ennesima distruzione psicologica ed agonistica ai danni di Bottas, illuso dominatore del weekend sino a metà gara, crollato sotto il peso della pressione, degli errori e di un pizzico di sfiga. L’Hamilton delle ultime quattro stagioni (analizzato da un interessante punto di vista da Stefano Nicoli su FuoriTraiettoria), giunto se vogliamo ad una versione 3.0 della sua carriera, pare riuscire sempre a trovare la quadratura del cerchio. Poco importa se sin dalla prima sessione di prove libere, o a pochi giri dal termine; la cosiddetta “pezza a colore“, impreziosita da una trama di talento cristallino e “fantasmi” via radio – per molti solo degli escamotage per confondere gli avversari – è pronta a ricucire al meglio ogni tipo di situazione.
Un processo quasi naturale, se vogliamo. Che naturale non lo è neanche lontanamente per Bottas. Il paragone con Rosberg, auspicabilmente miccia dell’esplosione del nuovo Hamilton, è abbastanza impietoso. Anche al netto del 2018, anno in cui al 77 è stato riservato un trattamento tutt’altro che dignitoso. Il quale l’ha portato, però, ad inizio 2019 e inizio 2020 ad impensierire quasi credibilmente la leadership di Hamilton. Quasi, perché poi il castello di carte è crollato e il finnico è rientrato, mestamente, nelle vesti del bravo uomo di squadra che, in data 1 novembre 2020, festeggia per il settimo titolo costruttori consecutivo Mercedes. Il solito contentino, per chi è costretto ad essere contento per il team; o forse lo è davvero contento, e tutti noi pretendiamo da lui qualcosa che probabilmente non dovremmo pretendere.
E’ evidente anche in Daniel Ricciardo – che ormai sembra averci preso gusto ad andare a podio con la “giallona”, tanto da rispolverare il caro e vecchio “shoey” su invito di Hamilton (un atto di folle coraggio in epoca Covid) – quanto il carattere, nel suo caso cazzuto, giovi al pilota un piccolo step in più. Unico dal 2016 ad interpretare la Red Bull bene quanto Verstappen – nonostante numerose voci riguardanti una unidirezionalità dello sviluppo a favore dell’olandese – o anche meglio, primo a riportare la Renault fra i primi tre in gara. Così come lo è anche per Charles Leclerc, da inizio stagione “overperformante“, al netto delle arcinote difficoltà della SF1000 e di una combo muretto box-meccanici al pit stop davvero molto al di sotto delle aspettative.
Non lo è, evidente, per le cosiddette seconde guide. Su tutti Alexander Albon, autore di una prestazione il cui aggettivo “brutta” è tutto meno che banale. Un’ipotetica riconferma in Red Bull per l’anno prossimo potrebbe far luce su un grave scandalo nell’Ufficio Miracoli lassù in Cielo. Non lo è neanche per Daniil Kvyat che, nonostante un’ultima parte di gara stratosferica, negli ultimi due anni le ha sempre prese piuttosto sonoramente da Pierre Gasly, oggi indignato speciale nei confronti della Dea Bendata. Non lo è stato, quest’anno, per Sebastian Vettel, che dal canto suo ha ammesso i suoi limiti, lavorando sottotraccia incurante degli estremismi positivi e negativi creatisi intorno a lui, sfoderando una gara dignitosa, deturpata – che casualità – da un errore al box.
Imola, in sostanza, ci sussurra ad alta voce che la “cazzimma“, se non è la chiave di tutto, poco ci manca. La stessa che ha consentito a Verstappen di impensierire a lungo le astronavi Petronas, prima dell’infausto incidente. La stessa che ha permesso a Raikkonen di portare a termine l’ennesima gara da applausi; a Giovinazzi di bruciare 1/4 di schieramento in partenza e chiudere, preziosamente, a punti; a Russell di essere un uomo nonostante un errore da bambino, ed emozionarsi come un bambino nonostante un contesto da uomo. Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Dopodiché…
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