Dopodiché la MotoGP poté, finalmente, omaggiare il suo nuovo Campione del Mondo: Joan Mir. Un esito quasi scontato alla vigilia dello scorso Gran Premio, prossimo alla follia se mai pronosticato da qualcuno ad inizio stagione. Un Mondiale di per sé atipico, viste le circostanze di svolgimento. Ma, in ogni caso, capace di offrire al pubblico spettatore, costretto a casa, un prodotto pieno zeppo di battaglie, di imprevedibilità, di spettacolo, nonostante l’assenza di chi, di tutti e tre questi elementi, ne ha fatto un biglietto da visita. Semmai qualcuno vi ponesse l’assurda domanda “Con quale lettera riassumeresti questo Mondiale?“, rispondete così: “Esse“. Per esteso. Vi spiego perché.
ESSE
“Esse” non è solo la trascrizione fonetica della diciottesima lettera dell’alfabeto, ma anche l’infinito del verbo essere, in latino. Esse, quindi, perché in questo 2020 è contato esserci. Marquez non l’ha fatto, ha abbandonato la nave ancor prima di salpare, commettendo un errore apparentemente simile, nelle dinamiche, ai suoi soliti; concretamente, nelle conseguenze, devastante e addirittura minatorio per il naturale prosieguo della sua carriera. Una batosta importante, che ha costretto il Cabroncito a lasciare che anche gli altri potessero giocare, giocarsela.
ESSE come S: SOGNO, SOLIDITA’, SQUADRA, SUZUKI
Che potessero esserci. E Joan Mir, con un’intelligenza agonistica di pregiata fattura, c’è stato. Ha sfruttato tutto quello che c’era da sfruttare, badando alla sostanza più che alla ribalta, che in ogni caso ha raggiunto, con merito. Si è mostrato solido, ed è questa l’attitudine che gli ha permesso di comporre, senza troppi patemi, il puzzle più bello del mondo, quello che corona il sogno di una vita, che ha alle spalle, come nelle migliori favole, sacrifici e difiicoltà; l’attitudine che è mancata agli altri, ai favoriti, ai singoli per eccezione.
Sì, perché in un modo o nell’altro, la chiave di volta del successo di Mir sta anche nel come, attorno a lui, fosse presente un gruppo dinamico, preparato e gioioso di persone, una squadra. Cosa che in Yamaha, e soprattutto in Ducati, non si vede da un bel po’ di tempo. Suzuki, invece, grazie all’animo gentile e competente di Davide Brivio, ha costruito un piccolo capolavoro, soverchiando l’egemonia dei colossi e prendendosi, con garbo, il centro della scena. Ringraziando anche Rins, a pochi punti dalla vetta nonostante l’inizio della stagione ha corso il rischio di somigliare molto a quello di Marquez.
SPERANZA, SOLITUDINE
L’anno corrente ha anche fornito la possibilità a molti di scoprire un nuovo lato della propria personalità, sia in positivo che, purtroppo, in negativo. Nella stagione dei 9 vincitori, le 3 vittorie di Morbidelli sono un autentico esempio di riscatto di chi, soffocato da paragoni al ribasso, giustificati e non, penalizzato da materiale tecnico inferiore e portabandiera per eccellenza della gavetta, alza con creanza il dito medio ai suoi detrattori, illuminando il suo futuro di speranza.
Ormai svanita, forse irrimediabilmente, per chi è stato capace di tartassare per 3 anni Marquez. Dovizioso è intruppato nella solitudine, isolato dalla realtà che lo circonda, spassionatamente malinconico: le sue dichiarazioni, da qualche settimana a questa parte, hanno meno verve di un necrologio. Le ultime, quelle di Valencia, anticamera dell’ennesimo compitino, sipario di una stagione che davvero si fa fatica a comprendere, fatta di scelte ad alto tasso di rischio – non tipiche per un ragioniere come lui – soprattutto senza coperture. Bilancio in rosso, che un po’ tutti si sarebbero augurati di vedere, almeno una volta in questi ultimi anni, sul tetto del Mondo.
SPRECO
Non è andata meglio a chi, da Presidente incaricato della MotoGP, si è ritrovato declassato a Ministro dello Spreco. Trattasi di Vinales e, ancor più, di Quartararo. Entrambi hanno gettato alle ortiche, a causa di una miscellanea di errori, difetti cronici e sfighe, la concreta possibilità di essere il n.1. Vinales è incappato nelle partenze a scoppio ritardato, nei weekend di inspiegabile anonimato e nella sporadica vittoria che sa di contentino; Quartararo, invece, si è rivelato non essere, ancora, in grado di reggere la pressione, rischiando, se non inverte la rotta, di inscenare un Zarco 2.0.
SAVAGE
Che dire, poi, di chi ha sfoderato uno stile aggressivo di guida, capace di far strabuzzare felicemente gli occhi agli appassionati. In primis, Binder, ormai in grado di far innamorare donne e uomini esclusivamente con un apertura di ginocchio e una intraversata. Sul sudafricano si sarebbe potuto dire di più, se solo la parte centrale della stagione non fosse stata in estremo decrescendo rispetto alla magica vittoria di Brno. In secundis, il suo compagno di squadra, Pol Espargaro, divenuto finalmente costante (5 podi), più solare e sulla cresta dell’Honda.
SENSO
Sarà importante, inoltre, per due piloti in particolare, tornare a dare un senso alla propria carriera. Per Petrucci, ancora una volta ai margini della zona punti a Valencia, il passaggio in KTM è l’ultima spiaggia, per riacquisire fiducia e competitività, trovata quest’anno solo una volta, a Le Mans, nella condizione atmosferica che l’ha consacrato al mondo intero nel 2015: il bagnato.
Per Valentino, invece, il compito è quello di chiudere con onore quella che è una delle storie del motociclismo più affascinanti e durature di sempre. Il vederlo nelle retrovie, con poca confidenza sulla moto, evidentemente meno reattivo in assoluto, è una nota di amarezza anche per chi non gli è tifoso. A lui il compito di regalare, all’intero mondo del motociclismo, ancora qualche perla di genio, sregolatezza e resilienza in stile Jerez, ultimo podio all’attivo. Prima di tuffarsi a tempo pieno nel coccolare e crescere nuovi talenti. Perché ce n’è bisogno.
SOSTANZA
Il GP di Valencia, in sostanza, ci sussurra ad alta voce che l’importante è esserci. Per scrivere la Storia, per diventare qualcuno. Per acchiappare la Vita per la collottola, ed essere disposti, piuttosto che un rettilineo, a percorrere una Esse – traboccante di significati – pur di giungere all’obiettivo. Ci vediamo a Portimao. Dopodiché…
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