Sarà forse insito nell’anima delle grandi piste. Di quelle che fanno la storia e che della storia se ne intendono. Circuiti rimasti nell’immaginario collettivo per la complessità delle curve e per ciò che, in quelle curve, è avvenuto nel corso degli anni. Piste, forse non per caso, nate per un altro tipo di motorsport. Ed è allora qui che nasce l’equivoco di fondo. I tempi cambiano, certo, le stagioni si susseguono, il ritmo della vita imperversa incessantemente. Piste come Monza, Monaco e Suzuka nascondono al loro interno tutte le contraddizioni che – in un mondo sempre più tecnologicamente avanzato – cozzano, sbandano rispetto a una logica delle cose differente.
Ci si domanda il perché a Suzuka le gare siano da anni così ‘noiose’. Il motivo teorico lo si è detto in tutte le salse ma scavando nel profondo si scorge un dettaglio che tale non è, ovvero il presupposto per cui una gara, per essere divertente, debba avere al suo interno sorpassi. Quando, invece, a livello di intensità agonistica la tappa giapponese è stata senza dubbio alcuno di un livello niente male. Come sempre è quindi un problema di prospettive, di angolazioni, di panorami diversi, insomma di accezioni. Nessuno (o quasi, le eccezioni ci sono sempre in questo mondo) verrebbe mai a dire che la qualifica sia stata inguardabile; questo anche perché una qualifica presuppone ingredienti diversi.
Non è un caso, quindi, che a Monaco, Monza e Suzuka si assista a qualifiche giudicate da urlo seguite, la domenica, da gare che tanta gente fa appisolare. Piaccia o meno, è nell’anima di queste piste. Cimeli da preservare trattandoli per come dovrebbero essere trattati: da luoghi speciali. Ed è per questo che si parla di un mondo che cambia, dove l’unicità viene scambiata per strana, quasi da eliminare. Da qui, infatti, nascono i discorsi circa la sostituzione dell’evento (italiano, monegasco o giapponese che sia). Certo, aver fatto un certo tipo di storia non ti autorizza a considerarti superiore all’evento (la F1) di cui sei parte. Ma sminuire il contributo da loro offerto in tutto questo tempo è altrettanto sbagliato.
La questione, come scritto, è pertanto di natura ‘prospettica’: in quale senso tal dei tali definirebbe una corsa bella oppure il suo contrario? Un tempo, forse nemmeno troppo lontano, la gara disputata domenica e vinta splendidamente da Max Verstappen la si sarebbe inquadrata più nell’ottica dell’impresa, del gesto sportivo degno di encomio, rispetto a una penuria di manovre di sorpasso. Anche sul sorpasso, poi, ci sarebbe un altro filone da aprire; filone che però bene si collega con i sermoni precedenti. Cosa si intende, ora, per gara ricca di sorpassi, e quanti di quei sorpassi, effettivamente, poi restano impressi nella mente umana? Un elemento in particolare ha come deformato il pensiero di molti.
Si sta parlando del DRS. Introdotto nel 2011 per aumentare i sorpassi è ormai un elemento imprescindibile nella lettura/interpretazione/visione di una gara. A tal punto da rendere le corse di macchine quasi artificiali, finte. Alla fine, d’altronde, basta premere un bottone, quello che proprio a Suzuka non ha fatto Jack Doohan in occasione del brutto incidente del venerdì di prove libere. Veniamo a noi: il DRS, per come sono concepite le attuali vetture, è diventato indispensabile. Se è vero che conta anche l’intensità non si vorrà di certo assistere a vetture l’una incolonnata all’altra neanche stessero aspettando il loro turno all’ufficio postale. Emblematico.
È altrettanto opportuno evidenziare, d’altro canto, di come non appena vi sia una gara con meno sorpassi ecco l’insurrezione popolare (sarà forse un caso che a Suzuka c’è una sola zona di attivazione del DRS?), come se a mancare sia proprio la capacità di discernere l’eccezione dalla regola. Ogni gara, poi, è diversa. È una grossa scatola all’interno della quale ci entrano cose diverse. Per questo è giusto dire di come forse queste piste non ce le meritiamo più. Perché non siamo più in grado di separare le cose, di scarabocchiare su un foglio e lasciarci trasportare dalla vera essenza di un Gran Premio di F1. A Suzuka non c’è (sempre) bisogno di sorpassi. Ogni tanto sarebbe opportuno che ce lo ricordassimo.
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