Cool down lap | Budapest 2024

La differenza tra l'avere una macchina veloce e il non averla

Non l’avrebbero fatto tutti. Non è da tutti. Nella situazione in cui si è trovato, con la testa della corsa – il Gran Premio di Ungheria, Budapest, 2024 – sigillata da sei secondi di distacco. Lando Norris è stato ai patti, ha rallentato a tre giri dalla conclusione, tra l’ultimo settore e il rettilineo del traguardo, e tra tutte le cose ha preferito mantenere l’armonia in una squadra che, apprestandosi a vincere la sua seconda gara stagionale, non aveva proprio bisogno di zizzania da estirpare. Ma che ha fatto di tutto per seminarla.

Oscar Piastri è partito meglio del compagno, si è preso la testa assicurandosi l’interno di curva 1, mentre Norris si faceva sfilare da Max Verstappen il quale, utilizzando la via di fuga asfaltata ha potuto superare il vincitore di Miami 2024. Posizione subito restituita, su consiglio della sua squadra, onde evitare penalizzazioni. E quindi McLaren in prima e seconda posizione, ma ad alfieri invertiti. Sembrava, era, tutto sotto controllo, ma il complesso d’inferiorità in cui continua a trovarsi la squadra di Andrea Stella ha reso un cubo di Rubik il più facile dei rompicapi.

E questo lo si è potuto capire sin dalla prima sosta, quando al posto di fermare ai box il leader della corsa è stato Norris a imboccare per primo la stessa, con Piastri pittato subito dopo. In questo caso, posizioni invariate. Ma è dalla fine del secondo stint che è cominciato il teatrino più ridicolo di cui si ha memoria, almeno per quanto concerne la gestione dei piloti e della situazione tutta. Stessa dinamica, con Lando ai box prima e Oscar a “reagire” due giri dopo. L’effetto dell’undercut permette all’inglese d’issarsi al comando.

Da quel momento Will Joseph, ingegnere di pista di Norris, inizia a subissare il proprio pilota di messaggi, circa la gestione delle gomme, ricordandogli cosa si erano detti prima della gara, sulla Pirelli che fosse preoccupata della durata delle sue coperture, che per il campionato avesse bisogno della squadra. Eccetera, eccetera. Imbarazzante. Tutto questo per (non) dire: “rispetta gli ordini”. Norris, dopo averci pensato un po’ su, decide di lasciare sfilare l’australiano, involatosi verso il primo successo stagionale, e della sua carriera, in F1. Il primo nato nel ventunesimo secolo a farlo, il quinto australiano dopo, nell’ordine, Jack Brabham, Alan Jones, Mark Webber (suo manager) e Daniel Ricciardo.

Vittoria più che meritata, su questo non ci devono essere dubbi. Che invece iniziano a sorgere quando nel post gara Andrea Stella dichiara che avevano deciso di fermare prima Norris per difendersi da eventuali undercut dei rivali. Peccato che questi rivali si trovassero a diversi secondi dai papaia. Per quanto abbiano tentato di azzerare i rischi, posto che avrebbero dovuto suicidarsi per perdere quelle prime due piazze, per farlo avevano creato una situazione non proprio simpatica. Anzi, decisamente antipatica, che avrebbe aperto un caso che Norris ha evitato di aprire. Si è detto che i campioni non sono così, che hanno altre caratteristiche, un carattere forte e spigoloso, tanti nemici e nessun amico. E che quindi Norris non è un campione. E invece Norris è stato proprio un campione: un personaggio che è andato oltre il semplice successo.

A differenza di chi di corse ne ha vinte più di sessanta, e di podi collezionati più di cento. Max Verstappen si è messo in mostra in uno spettacolo a dir poco raccapricciante. Siccome le cose non stavano andando come desiderava, l’olandese ha ben pensato d’inveire alla radio con offese di ogni tipo verso la propria squadra. Proprio quella squadra che gli ha permesso di diventare un vincente. Ma non un Campione, con la lettera maiuscola, che probabilmente non sarà mai. Il suo castello di certezze, improvvisamente crollato dinanzi una vettura più veloce della sua (posto che per perdere il campionato deve succedere l’imponderabile), ha aperto le danze a un isterismo incontrollato, vergognosamente infantile e irritante come poco. E giustamente, Gianpiero Lambiase non ne ha potuto più di sentirselo nelle orecchie. In quel momento è stato portavoce di milioni di persone, della sua dignità e di quella di una squadra.

L’olandese ha concluso quinto, dietro alla Ferrari di Charles Leclerc ma soprattutto alle spalle di Lewis Hamilton, che giunto al suo duecentesimo podio in carriera ha confezionato con la sua squadra una delle prestazioni più belle (considerando tutti i piloti) della stagione, grazie a una strategia aggressiva a mettere pressione sulle squadre rivali, in questo caso Red Bull e Ferrari. Probabilmente, sul fronte passo gara, la numero 44 ne aveva di meno sia della 33 che della 16. A fare la differenza è stata la track position, priorizzata da Mercedes e non da Red Bull, e poi le capacità difensive del sette volte campione del mondo. Sarà un’impressione, ma non si vedeva un Hamilton così aggressivo da tanti anni. E non solo perché la Mercedes è migliorata, ma anche per un cambio di mentalità del britannico, tornato aggressivo ma molto più esperto. Difficilissimo da superare. Verstappen ci ha provato, ma è caduto nella trappola di Lewis, che non si è fatto piccolo di fronte alla tracotanza del tre volte iridato, il quale – come accade di sovente – per sorpassare si lancia sui freni, si prende tutta la pista e costringe l’avversario a desistere “aprendo” il volante. Volante che Hamilton non ha aperto, e quindi il contatto, con Verstappen volato per aria per qualche istante che quasi perdeva entrambe le posizioni sulle Ferrari.

E infine la differenza, le differenze, tra l’avere una macchina veloce e il non averla. In casa Aston Martin, ad esempio. Per permettere a Lance Stroll di superare Yuki Tsunoda, Fernando Alonso è stato costretto a cedere la piazza al canadese. Non riuscito a mettere la sua AMR24 davanti alla Racing Bulls del giapponese, Stroll ha pensato intelligentemente di non restituire la posizione. Per un punto, Alonso non se l’è certamente presa più di tanto. E però questa è la dimostrazione che quello che ha fatto Norris – per di più per una vittoria – non è ordinario. Se per un punto il canadese ha voluto fare la voce grossa, cosa avrebbe dovuto dire Norris? L’ha fatta grossissima – sul fronte della guida – Tsunoda, ottimo nono e primo degli altri, dopo che nelle qualifiche aveva sbattuto e i dolori – portati in macchina per tutta la corsa – non hanno impedito al nativo di Sagamihara di mettere in mostra le sue capacità, anche nella gestione degli pneumatici: unico ad aver effettuato un solo pit stop. Impressionante.

Immagine in evidenza: © @McLarenF1 X profile

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Autore

Davide Attanasio
Ragazzo di venti anni che prova a scrivere di macchine, che girando a velocità folli per tutto il mondo fanno battere il cuore e vibrare l'anima

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