La Mercedes ha vinto due gare consecutive. Bisogna dirlo chiaramente: dopo il Gran Premio del Bahrein nessuno se lo sarebbe immaginato. Una macchina, la W15, che rappresentava il terzo progetto sbagliato su tre monoposto dell’era regolamentare apertasi nel 2022. Un’annata, quella del 2023, con zero successi, dopo la vittoria di San Paolo 2022 che poteva aprire un anno rivelatosi invece negativo. E negativo è stato l’inizio di 2024, con il podio che non lo si annusava neanche per errore. E invece un’intuizione, quella che mancava da un po’, con a corollario due successi, conquistati sfruttando le imperfezioni altrui, unite a un’efficienza che, come le intuizioni, pareva essere smarrita.
Quel successo nel 2022 lo aveva conquistato George Russell. Una settimana fa, sulle colline della Stiria, era stato ancora Russell a portare la Mercedes davanti a tutti. Quando ci sono state delle occasioni, le affermazioni sono andate sempre e solo alla nuova leva britannica. E la vecchia, quella leggendaria, sembrava essere rimasta in Arabia Saudita, prima di quella Abu Dhabi che tutti conoscono a menadito. Ferma, come se bloccata in quell’attimo, e incapace di voltare pagina. L’incantesimo si è spezzato in uno di quei giorni di pioggia e sole, di gomme slick e wet, di occasioni da sfruttare e da annusare. Da captare.
Lewis Hamilton è ancora tra noi. Nel senso che ha rotto il ghiaccio. Dopo due anni e mezzo. Un’era geologica per un pilota che ne aveva (ne ha) conquistate centotré. 103, tripla cifra. Il ghiaccio, in termini di pole position, si era spezzato in Ungheria, nel 2023. E non è un caso che il tutto sia avvenuto in quei due luoghi lì. I luoghi delle scorpacciate vere e proprie, lui che di mangiate se ne è fatte ovunque, in ogni lido. Un binomio che ha scritto un’altra, forse l’ultima, pagina di una bellissima storia. La storia più vittoriosa di sempre. Ma in un posto, la Formula 1, dove conta solo una cosa, Hamilton ha messo davanti le emozioni.
Le ha messe in primo piano, oltre il successo, oltre la semplice prima posizione. Quella che tutti chiamano ossessione. Termine che non dà merito a una bellezza. A un’arte. Quella di correre, dipingendo traiettorie, sull’asciutto e sul bagnato. Quella di una strategia ben riuscita, l’emozione che fuoriesce dai numeri. E l’emozione di un abbraccio, delle lacrime, di due abbracci, di un’attesa rotta dalle pioggie britanniche, che ha sciolto i cuori di tanti. Anche di chi Hamilton non l’ha mai sopportato, per tante ragioni, più o meno condivisibili. E la storia, con una bandiera britannica che sventola, e con una coppa che più bella non si può, si è regalata un’altra bellissima pagina, scritta dal suo più grande cronachista di successi. Si chiama emozione, non ossessione. Alla prossima pagina.
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