La Formula 1 è andata in vacanza da una settimana, il sottoscritto se l’è presa un po’ comoda, ma ce l’ha fatta. A scrivere questo articolo, s’intende. Il pezzo del dopo Spa, luogo di vacanze forse, luogo di corse e di natura, ma soprattutto di corse, se si parla di motorsport. In Belgio, George Russell aveva (ha) realizzato (sotto la bandiera a scacchi) un piccolo grande capolavoro. La sosta singola. Che lo aveva (ha) portato al successo, riuscendo a contenere un Lewis Hamilton che era arrivato di gran carriera, forte di una leadership conquistata a Les Combes – giro 3 su Charles Leclerc – e conservata magistralmente fino all’imprevisto “GR” – bravo bravissimo nell’annusare la situazione, lui che non è nuovo a questi coup de théâtre, a queste scelte fuori dagli schemi, convinto e consapevole che qualcosa di più si può (quasi) sempre ottenere. Grazie ad arguzia, sagacia e un pizzico, forse due, di creatività, dettata dalla razionalissima irrazionalità degli esseri umani.
Possiamo mettere da parte, accantonare, se si può dire così, il mantra degli strateghi robot, delle strategie fatte a tavolino e dei computer. Se ne è parlato sin troppo. Anche perché, chi a questo mondo, specialmente in quell’universo lì, non vuole vincere? Più che altro, la definizione, i discorsi, stridono con l’errore umano che ha tolto a Lord George, mi si permetta la licenza, un successo di straordinaria bellezza, perché la sua W15 è risultata sottopeso alle verifiche tecniche. Jo Bauer, delegato tecnico della Federazione, è come un serpente velenoso che spereresti di non voler incontrare. Che, se fai le cose per bene, non lo scorgi nemmeno, ma se toppi, ahi se son dolori. E quindi squalifica per la vettura numero seitre, sessantatré, con il team di Wolff (Toto, o Torger, a voi la scelta) contento per la centocinque di Sir Lewis ma corrucciato per una mancata doppietta: sarebbe stato il quarto team a esserci riuscito. Infatti, se quattro squadre hanno vinto almeno due corse per la prima volta da tre decadi circa, quattro squadre a fare almeno un “uno-due” mancano dal campionato 1960, o forse non ci sono mai state, perché una delle quattro a riuscirci (oltre a Cooper, Lotus e Ferrari) fu il team Watson a Indianapolis, corsa che a quell’epoca era inclusa nel campionato senza che i veri protagonisti dello stesso ci prendessero parte. A ogni modo, se non ci fosse stata la squalifica, sarebbe stata la Storia, quella con la esse maiuscola. Questo per realizzare, per renderci conto del momento storico che stiamo affrontando. E pensare che veniamo da un’epoca, un decennio se non di più, marchiato da domini; più o meno brevi, ma sempre di domini, di egemonie, si parla. E anzi, nelle radici di questo sport, la parola dominio è di uso comune, se non comunissimo. E quindi, in conclusione, è un bel periodo. Da assaporare, da vivere, da godere. Criticare è sacrosanto, ma quando ci sono quattro squadre che, chi più chi meno, possono competere per il successo di un Gran Premio, questo è il fatto più bello, ed è ciò che va rimarcato più di tutto il resto. Ora sì, buone vacanze.
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