L’errore, lo sbaglio, la valutazione scorretta, è un qualcosa di insito nell’essere umano. Tutti, nessuno escluso, ne hanno fatto esperienza, tutti sanno di cosa si parla. Dai più giovani ai più esperti, domenica 16 marzo 2025, il Gran Premio d’Australia ci ha dimostrato ancora una volta di come la perfezione sia un concetto estremamente fiabesco, dai contorni indefiniti per quanto irrealizzabile. A volte ti sembra vicina, a volte più lontana, la verità è che non avrebbe ragione di esistere. Ma si sa, gli uomini sono soggetti un po’ strani, abili nel crearsi i problemi quando non ce ne sarebbe la necessità.
E quando piove a catinelle e la pista è bagnata, le possibilità di errore crescono esponenzialmente. Questo è successo all’Albert Park, luogo dove giovani senza Gran Premi all’attivo e ‘vecchi’ con più di 400 presenze in Formula 1 hanno fatto parte dello stesso insieme, della stessa categoria: quella dei fallosi. Isack Hadjar, alla prima gara, fuori nel giro di formazione, Jack Doohan, due Gran Premi all’attivo, out dopo cinque curve. Carlos Sainz, 210 GP, si gira in regime di safety-car; e poi Andrea Kimi Antonelli e Max Verstappen, il primo autore di un testacoda rivelatosi innocuo, il secondo protagonista di un bloccaggio costatogli in quel momento la seconda posizione, mentre Fernando Alonso ha trovato le barriere dopo aver toccato la ghiaia in corrispondenza dell’infausta coppia di curve 6-7.
Per non parlare di Lando Norris, vincitore del gippì, e Oscar Piastri, entrambi fuori pista nello stesso istante quando una nuova perturbazione ha colpito la umorale città di Melbourne, con l’australiano nato proprio a Melbourne ‘impantanato’ nell’erba per un eternità ma tignoso nell’uscire dal guado. E poi la Ferrari, con Charles Leclerc autore di un testacoda, l’AlphaTauri con Yuki Tsunoda, la Sauber con Gabriel Bortoleto e ancora la Red Bull con Liam Lawson. Infine Oliver Bearman, pulito in gara ma ‘animatore’ con ben due incidenti nello spazio di ben due turni liberi. Insomma, chi più ne ha più ne metta.
Con gli errori, però, ci sono anche i pezzi di bravura, i gesti e i prodigi. Norris è stato autore di 57 giri dai contenuti tecnici molto elevati, in cui ha gestito la situazione senza mai cadere in fallo, facendo le chiamate giuste e pitturando le traiettorie con grazia, mentre Verstappen, beh, è sempre lui, il quattro volte campione del mondo. Secondo sotto la bandiera a scacchi si è rivelato primo antagonista delle velocissime McLaren, anche grazie a una strategia perfetta del muretto, abile nell’effettuare le chiamate giuste al momento giusto. Difficile scalfire l’attuale potenza di fuoco del team papaia, ma si hanno pochi dubbi sul fatto che l’olandese, quando ce ne sarà l’occasione, darà filo da torcere.
George Russell e Antonelli, terzo e quarto con la Mercedes. Per il primo gara senza sbavature ma senza alcuna possibilità di annusare possibilità di successo, per l’italiano una prestazione da cineteca: sedicesimo al via, ha sfruttato gli errori altrui per portarsi a ridosso della top dieci, poi – dopo aver sorpassato Nico Hulkenberg – ha sbagliato, ma si è rifatto con gli interessi infilando nuovamente il tedesco. Rinvenuto su Lance Stroll prima e su Alonso poi, lo schianto dello spagnolo gli ha aperto la strada per la rimonta finale, conclusasi con una bellissima manovra all’esterno di Alexander Albon. Con la direzione gara che, però, gli aveva inizialmente attribuito cinque secondi di penalità (unsafe release), quella mossa sarebbe stata vana. E però Mercedes, richiesto il diritto di revisione, è riuscita a far valere le sue ragioni attraverso quel ‘nuovo e significativo’ elemento necessario, fondamentale, per poter infine ribaltare la situazione e consegnare al 18enne bolognese un debutto ancor di più da ricordare.
Cosa dire, poi, di Albon, Stroll e Hulkenberg, rispettivamente quinto, sesto e settimo. Prestazioni paragonabili, le loro: non appariscenti ma tremendamente concrete. Anche perché appariscenza non ha sempre accezioni positive. Vedi Yuki Tsunoda, davanti ad Albon prima dell’ennesimo suicidio strategico del muretto Racing Bulls. A ogni modo, il thailandese è uscito alla distanza fuori rispetto a un Sainz che, fino al Q2, era sembrato più in forma per poi ‘soccombere’ alla maggiore esperienza all’interno del contesto Williams del numero ventitrè. Lodevole come Carlos, attraverso i suoi preziosi feedback, si sia messo a disposizione per dare una mano alla squadra nelle decisioni strategiche; il canadese, più lento di Alonso ma quantomeno in zona, ha ottenuto il risultato migliore… dal Gran Premio d’Australia del 2024. Da Melbourne a Melbourne, anche se l’Aston Martin di quella corsa non è minimamente paragonabile a questa; il tedesco, subito insidiato da Bortoleto, ha risposto con una domenica da sei punti iridati, più di tutti quelli che il sodalizio di Hinwil aveva messo a segno in tutta la scorsa stagione.
Capitolo Ferrari. Leclerc ottavo, Hamilton decimo e a chiudere la zona punti. Non il debutto che ci si attendeva, per usare un eufemismo. La giornata di venerdì aveva dato indicazioni positive, indicazioni che suggerivano un ruolo di seconda forza. Sabato la sorpresa (negativa), domenica il brutto sogno. Che però sogno non è. Se ne sono dette di cotte e di crude: altezza della macchina, assetto da bagnato, pista atipica, pista amica, sovrasterzo, sottosterzo. La realtà è che la Ferrari vista a Melbourne ha ciccato. Ha deluso. Non c’è scusa che tenga di fronte a una prestazione di questo livello, non c’è scusa che tenga circa l’ennesima lettura sbagliata in condizioni di meteo avverso. Si potrà dire di più dopo Shanghai: la Ferrari non è sicuramente più lenta di Williams, Aston Martin e Sauber; la sua posizione dovrebbe essere quella di subalterna alla McLaren, ruolo conteso con Verstappen (difficile da due anni a questa parte parlare di Red Bull) e Mercedes, ma quello che è certo è che per arrivare a contendersi i titoli c’è molto da lavorare. Ancora una volta, dopo un anno di crescita, ecco il brusco risveglio. Sarà davvero stato solo un brutto sogno? Ecco, al momento i pizzicotti sulle guance fanno male.
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