Si può paragonare a una formica, Oscar Piastri. Non è appariscente, però si fa sentire. Lavora nel silenzio, ma perché è fatto così. Le sue emozioni, lui, le esterna diversamente. E però ci sono, si percepiscono. Se si scorge con attenzione nel suo sguardo, nei suoi occhi e nel suo carattere, così approssimativamente definito ‘freddo’, si può trovare una luce diversa. Non tutte le stelle sono uguali alle altre. Anzi, malgrado un semplicistico ragionamento che porterebbe a pensare a un mondo omologato e immutabile, ogni stella è diversa l’una dall’altra. Quella di Oscar è un caleidoscopio di latenze – intese come qualcosa che non si vede subito, che forse non si vedrà mai da fuori, ma che si può intravedere nell’intimo -, di ‘non detti’, di un modo di essere, di intendere la vita che al giorno d’oggi non è facile incontrare. In Bahrein, a Sakhir, Oscar ha vinto nel silenzio facendo rumore. Mai inquadrato dalla regia, mai sotto le luci della ribalta, sebbene di luci, in pista, ce ne fossero abbastanza. Oscar, stella fuori dagli schemi, è alimentato da un brillare diverso: quello dei fatti, dell’umiltà e del lavoro. Come si è scritto prima, Piastri lavora nella quiete. Ma non è stata una scelta forzata. Chi scrive, ovviamente, non può esserne sicuro, ma tutte le tessere del mosaico portano a dare questa interpretazione. Alla fine, d’altronde, si tratta di interpretare.
E però lo si può accarezzare, toccare con mano. Non è stata un’evoluzione innaturale, è stata la naturale conseguenza del suo modo di concepire le cose. Essere formica, in un mondo sovraesposto tale da sembrare nel limbo della Commedia dantesca dove la specie umana appare incapace di trovare la sua dimensione più profonda, è uno stato di vita. Le cicale, al giorno d’oggi, pullulano in ogni dove e le formiche si devono dare un gran da fare, per emergere. Ma emergere nel modo giusto, corretto per ciascuno di noi. È un forte lavoro di introspezione destinato a rimanere incompiuto. Ma è proprio nella sua incompiutezza che si risale al germoglio, alla genesi di un qualcosa. Oscar ha raccolto il proprio germoglio e se lo sta portando a spasso nel suo viaggio. Come un nomade errante. La destinazione, il ‘capolinea’, quello non lo si potrà mai conoscere, ma quel bocciolo è nelle mani di un ragazzo che sa quello che vuole. Dopo aver vinto tutto il vincibile nelle formule propedeutiche nel 2022, senza un sedile da titolare in Formula 1, volle con grande forza la McLaren al posto dell’Alpine, squadra per cui ricopriva il ruolo di terzo pilota. Le motivazioni, in questo frangente, sono superflue. La sua esperienza con la squadra inglese, iniziata l’anno successivo, è partita in salita. La macchina era lenta, le cose da imparare molte. Oggi, Oscar sta diventando grande. In tutto e per tutto. Grande rimanendo formica. Zampettando verso il suo avvenire. Brillando della luce più vera. Più pura. Quella delle sue convinzioni. Quella dei suoi valori.
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