“Niente e nessuno è perfetto. Ci vuole solo un buon occhio per trovare le imperfezioni nascoste“
Il mondo della Formula Uno ci ha sempre abituato ad una costante e spasmodica ricerca della perfezione. Innovazioni, sperimentazioni, guerre regolamentari. Il tutto per puntare dritto ad un unico obiettivo: essere i migliori. Nel corso della “millenaria” storia della F1, campionato testimone dell’eccellenza dell’automobilismo, alcune squadre si son dovute accontentare di dover recitare ruoli da comprimario, glorificando risultati di metà classifica; altre hanno potuto beneficiare dell’ebbrezza del podio, divertendosi a scalzare i giganti dal loro iperuranio; altre ancora hanno massimizzato la loro competitività, costruendo veri e propri cicli di dominio incontrastato e impermeabile. Negli ultimi anni, in particolare, Ferrari, Red Bull e Mercedes hanno avuto a turno la parte del protagonista: copioni diversi, stesso obiettivo – la perfezione. In occasione del Gran Premio di Hockenheim, però, le tre scuderie hanno incrociato le loro strade, dovendo interfacciarsi, e uscendone agli antipodi, con una variabile tanto temuta, tanto decisiva: l’imperfezione.
L’imperfezione può manifestarsi sotto svariate forme: episodi, caratteri, coincidenze. L’imperfezione con cui si è dovuta confrontare la Ferrari in realtà è un’amica di vecchia data. La suddetta nasce infatti dall’ansia di vittoria dello scorso anno, dal “circolo” vizioso in cui è caduto Vettel, sfociati, conseguenzialmente o meno, nella realizzazione di una SF90 troppo “layoutopatica” e fragile. La quale, però, in Germania, fino al sabato mattina, ha recitato la parte della protagonista. Poi il doppio turbo-patatrac, a testimoniare ancora una volta come l’imperfezione, se vista con il giusto occhio – sfortuna? incompetenza? ansia prestazionale? – si palesa in men che non si dica. In gara, però, la situazione ha preso una piega impronosticabile. L’imperfezione si è trasformata da un pungente 2 di bastoni, in un ghiotto e elettrizzante settebello. Nella sfortuna di partire dalle retrovie, la Scuderia ha potuto tentare strategie più azzardate, permettendo ai due piloti di compiere importanti rimonte. Sfociate, ahiloro, in esiti opposti: delusione inquantificabile per Leclerc, tradito dall’imperfezione dell’esperienza, della foga e dell’asfalto non conforme; gioia incommensurabile per Vettel, rinato come araba fenice proprio dalle imperfezioni sue e della macchina.
Quando si trova la perfezione, e la si mantiene per un periodo sufficientemente lungo, svanisce pian piano il ricordo dei tempi passati, fatti di rincorse, delusioni e sacrifici. Mercedes, ieri, a “casa sua“, si è svegliata dal lungo, e dolce, “sogno ibrido“, per gettarsi a capofitto in un incubo dai tratti “argentiani“. Una debacle rocambolesca, fragorosa, illogica. Parliamoci chiaro: una catastrofe del genere, in condizioni normali, sarebbe stata quotata a 900. Ma è proprio questo l’unico (forse) angolo cieco di Mercedes, e soprattutto di Hamilton: l’essere imperfetti in condizioni imperfette. Nel momento in cui qualcosa comincia a girar storto, il colosso d’argento perde la trebisonda e si ritrova ad annaspare in variabili inedite e impervie. La stessa reazione di Hamilton al contatto con le barriere è viva testimonianza del cortocircuito subito, nonché ennesimo tentativo di girare al largo dal regolamento. I due 360°, dei quali ne ha avuto la peggio Bottas, segnano la resa definitiva del weekend tedesco, celebrato in pompa magna, concluso in fondo al mar.
Quando poi due imperfezioni si incontrano, non è detto che tutto vada per il peggio. Lo strano caso di Honda e Red Bull, infatti, evidenzia come si possa sempre migliorare, condividendo gli errori e lavorando alacremente, e soprattutto simbioticamente, per risolverli. Il tanto bistrattato motorista giapponese – affossato dal pubblico, dagli addetti ai lavori e dai piloti stessi, per gli innumerevoli problemi di affidabilità – e la scuderia delle lattine energetiche più famose al mondo, proprietaria di una delle vetture più “burrose” degli ultimi anni, hanno già raggiunto la seconda vittoria in stagione, in un 2019 tanto dominato da Mercedes, oltre a numerosi podi. Un risultato oltre le aspettative, frutto però, in ampissima parte, anche dell’apporto di Verstappen. Esempio lampante di come dalle imperfezioni – e Max ne aveva tante, fino ad un anno fa – si possa rinascere, ricostruendo tassello dopo tassello credibilità, concentrazione e competitività. Puntando, facendo scorta del passato, alla perfezione.
“Se il passato è stato imperfetto, andare oltre è l’imperativo“
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