Potrete sicuramente perdonarmi il tono goliardico e inusuale che caratterizza il titolo. E non ne rimpiango la scelta perché, secondo me, riassume in maniera sintetica e esaustiva il mio pensiero riguardo tutto l’ambaradan di Montreal. Solitamente, nella scrittura di un articolo, prediligo usare toni pacati, morbidi e cerco di fare sempre l’avvocato del diavolo, provando a carpire ogni minimo dettaglio che possa smentire l’opinione comune. Stavolta, però, mi sono partiti i 5 secondi, che hanno di gran lunga penalizzato la mia tranquillità (non la mia obiettività, sia chiaro).
Ciò che è avvenuto al giro numero 58 è semplicemente vergognoso. Non sono il primo a dirlo e – non credo – sarò nemmeno l’ultimo. E non è vergognoso perché vi era coinvolta una Ferrari, occhio! Qua il sentimento, il tifo, fanno le valigie e se ne vanno in spiaggia. Lo stesso livello di profonda indignazione vi sarebbe stato se l’episodio avesse coinvolto i due piloti – e i due rispettivi team – a parti invertite. Qui si tratta solo ed esclusivamente di incompetenza, o di estremo rigore. Non ho paura a menzionare la prima parola, perché penso concretamente che i commissari – tra cui vi era il rispettabile Emanuele Pirro, grande campione del passato – abbiano davvero agito con superficialità e leggerezza.
La prolungata risata del titolo, che ci crediate o no, è la perfetta riproduzione testuale della mia reazione in seguito alla penalità comminata a Vettel. Una risata satura di stupore, incredulità, rabbia, delusione, amarezza, rassegnazione, odio. Odio, soprattutto, verso un’organizzazione che dovrebbe garantire una certa coerenza e imparzialità nelle decisioni che prende, e che invece preferisce “mandare tutto a put**ne“, pregiudicando in modo sempre più definitivo la credibilità di questo sport, già giunta alla frutta in seguito a decisioni del tutto opinabili prese nel lontano e recente passato.
Ed è pur vero che c’è poco da ridere, pochissimo. C’è poco da ridere perché una decisione completamente scriteriata ha messo, ancora una volta, all’angolo un team che nel recente passato ha subito numerosi KO tecnici in tema di regolamenti e “peso sportivo”. C’è poco da ridere perché la suddetta decisione è riuscita, miracolosamente, ad ampliare il raggio d’azione del detto “due pesi due misure“, “legittimando” i tifosi a raccapezzarsi per interpretare il regolamento ad ogni gara. C’è poco da ridere perché l’atteggiamento di Lewis Hamilton è stato subdolo. Passi l’adrenalina post-contatto e il seguente team radio reclamante; il resto è puro spettacolo, barcamenante tra il “ha stato lui con lu tratture” e il recupero pacchiano e poco produttivo dei mille mila consensi persi in una manciata di secondi. C’è da sorridere, invece, al gesto “eroico” di Vettel, nei panni di un Winston Smith qualsiasi, ammansito e al contempo circuìto da un Hamilton versione O’Brien, ribelle nei confronti di una FIA sempre più Grande Fratello. Buon 1984 a tutti, insomma. L’anno della grande gara di Ayrton Senna a Monaco. Tempi lontani, tempi di ruota a ruota, tempi di duelli “puri”.
C’è poco da ridere, perché è stato devitalizzato il cuore pulsante dello sport che tutti noi amiamo. Un tempo figlio della passione, della genuinità. Ora figlio di regolamenti scritti e interpretati come si vuole.
Probabilmente, caro Winston Vettel, per qualcuno lassù, 2+2 deve per forza fare 5.
Iscriviti al nostro Canale Telegram per ricevere tutti i nostri articoli sul tuo smartphone
Lascia un commento! on "Ride Through | Il codice sportivo? HAHAHAHAHAHAH. Ma c'è poco da ridere"