Lewis Hamilton vince il Gran Premio di Turchia, ottenendo così il settimo titolo mondiale, raggiungendo una leggenda imperitura come quella di Michael Schumacher. Al diavolo i paragoni insensati, le critiche infondate, il tifo di qualunque genere: il numero 44 ha confermato e ribadito la natura stellare del suo talento, in grado di proiettarlo sempre un quid avanti a tutti, di fargli ridefinire i confini di cosa è possibile fare, o anche immaginare. Un weekend, quello turco, iniziato male, malissimo, proseguito in timida risalita, concluso in grande stile, grazie agli assi nella manica caratteristici del britannico: gestione ottimale delle gomme usurate e visione a più che 360° della gara. Poi le lacrime, summa di tutto quel bagnato che, asciugandosi gradualmente, l’ha traghettato verso l’ennesimo capolavoro. Pur tra mille fantasmi, che oggi son diventati Santi.
E’ una nota felice, nostalgica, nobile, anche un po’ romantica che ad accompagnarlo sul podio, oltre all’eccellente Sergio Perez, inspiegabilmente monco di un posto in F1, ci sia Sebastian Vettel, autore di un fine settimana concentratissimo e di una gara intelligente, nel puro e rispettoso senso della parola. I due hanno scritto la storia di più di un decennio, equidistribuendosi il dominio della massima categoria automobilistica. Ed entrambi, dalle difficoltà, sono risorti, come la più cazzuta delle Arabe Fenici. Ringraziando, si fa per dire, anche l’operato di Charles Leclerc che, risfoderata la coriaceità e, per una buona volta, una intuizione arguta del box, ha costruito tassello dopo tassello una solida rimonta, che l’ha visto però sfumargli il podio per una staccata troppo aggressiva, generosa, insomma l’essenza più verace del talento monegasco.
Una gara d’altri tempi, che ha messo in luce soprattutto pregi e soprattutto difetti di tutti i piloti, oltre le differenze prestazionali delle monoposto, oltre ogni sorta di previsione. Una gara che ha confermato, in piena regola, il detto “chi troppo vuole, nulla stringe”: protagonista d’eccezione Max Verstappen, affranto per aver perso la pole ieri, gasato ma troppo pasticcione in gara. Così come Albon. Così come Bottas. Su di lui punto, non una parola di più: è questione di rispetto. Così come Stroll, tradito dall’ennesima strategia Racing Point suicida. Una gara che, nella sua interezza, contiene tutti gli elementi per sottolineare in blu, rosso, nero, arcobaleno, come questo sport, cari tifosi, o lo si ama, o un po’ si è trimoni.
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