Batto le mani quando sulla sua gara cala la bandiera a scacchi. Batto le dita, toccando come con delle carezze le lettere della tastiera del mio computer, mio personalissimo testimone di avventure dietro allo schermo. Non è una saga di manga, non preoccupatevi. Cerco di capire come mettere insieme le parole, significato dopo significato, sfumatura per sfumatura, e anche ora capisco e non capisco allo stesso momento.
Non si parla di numeri, della posizione di partenza, dei sorpassi, delle difese, di tutto quello che in Formula Uno contorno non è, ma quando si racconta una storia così bella non resta nemmeno lo spazio per quelle cose lì.
A diciotto anni, quasi diciannove, Ollie viene chiamato dalla Scuderia Ferrari per pilotare una delle due vetture che parteciperanno alla quarta edizione del Gran Premio dell’Arabia Saudita. Carlos Sainz non sta bene, è il momento di preparare il sedile, e di correre.
Non c’è spazio per le emozioni, il cuore, che ti batte all’impazzata come prima dell’esame più importante della vita, quello nemmeno lo senti. Hai gli occhi che puntano a una curva, e poi a un’altra e a quella successiva ancora, perché quando infili casco e tuta e abbassi la visiera cerchi il giro perfetto.
Un’ora di prove, poi la qualifica, le prime dieci posizioni mancate per un soffio, te che in Formula 2 avevi fatto la pole position, ma non c’è risultato che tenga a un’opportunità nell’Olimpo dei motori, e poi sei il terzo pilota della rossa: se qualcuno si fa male devi essere pronto a entrare in guerra.
I muri, sfiorati, accarezzati dalla freschezza giovanile e dall’incoscienza di chi va veloce e sa di essere di quella pasta. Mai toccati, neppure baciati, un amore platonico che nel motorsport è indispensabile avere, una sensibilità che è richiesta, per andare più veloce e cercare un limite sempre nuovo, diverso, curva per curva, con le barriere che spalancano le fauci per morderti, ma tu sei una scheggia carica di energia e sfuggi a ogni tentativo di aggressione.
E poi arriva il giorno della gara, che sicuramente avrebbe visto da un televisore, magari nei box stessi della Ferrari, e che invece vedrà dal sedile più esclusivo sulla piazza, perché ce ne sono solo venti: quello dell’abitacolo. Il numero trentotto (38), che vorrebbe avere il settantotto (78) quando avrà un posticino tutto per lui, magari dall’anno prossimo, questo ci è ancora una realtà molto sfumata, indossa i guanti rossi, la tuta quella ce l’ha già, quella vera, con le strisce bianche e gialle ai lati, con i colori della bandiera britannica e il suo nome, Oliver Bearman, impresso nel colore più iconico della storia delle corse delle automobili.
Si siede, prende posto, e inizia a realizzare che tra dieci minuti vedrà cinque semafori rossi spegnersi, e da lì non ci sarà tempo per pensare. Riccardo Adami, ingegnere di pista di Carlos Sainz, lo incoraggia e gli dà informazioni giro per giro, sulla posizione, il ritmo da tenere, la cura degli pneumatici, i bottoni da premere su quel volante che è più difficile dell’indovinello della Sfinge, che in realtà – una volta che lo sai – è facile, ma legava bene. Quell’indovinello che come risposta ha “l’uomo”, lui che la parola uomo ce l’ha nel cognome, e che più che un orso sembra un orsacchiotto da abbracciare, ma in pista statene alla larga.
Il momento del pit stop, in mezzo a tutte le altre macchine, è riuscito con efficacia, la corsa continua, e il collo inizia a soffrire, ma questa gara bisogna finirla bene. E finirla settimo, davanti a Lando Norris e Lewis Hamilton, che poi nel dopo gara ti aspetta per abbracciarti e dirti “complimenti”, è il riconoscimento più autentico che possa esserci.
Il pilota più giovane nella storia del Cavallino, e naturalmente il più giovane a ottenere punti nella settantennale epopea della squadra di Maranello, sei punti che raccontano tanto e allo stesso tempo pochissimo, perché la storia è nell’emozione del suo papà che se lo coccola stringendolo a sé, lui che non è proprio un mingherlino per altezza.
L’apprezzamento di tutti i piloti per la prestazione di Ollie è segno di quanto sia stato bravo. Una settimana, anzi, due giorni da universo parallelo che non è mai stato così vero. Toccare il cielo con un dito è una bellissima espressione della lingua italiana, e oggi è accaduto proprio questo, a chi ha avuto un occasione per strabiliare, e ha strabiliato.
Tornerà in F2 dal prossimo appuntamento, luogo Australia, a meno di complicazioni lato Sainz, ma con quella testolina il ragazzo è già con le ali spiegate in volo verso altre stelle, ma sempre nello stesso cielo.
Prenditi tutto.
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