Organizziamo l’intervista con Eugenio nel giro di pochi minuti. Sembra felice di poter condividere con noi le sue impressioni sulla Dakar, tanto da essere quasi stupito del fatto che siamo gli unici a non aver fatto domande sulla Futurista, auto da sogno realizzata da lui e dal suo Garage in un unico esemplare.
Il simpatico Eugenio inizia subito a raccontarci la sua Dakar, fatta di sabbia, sudore e sacrificio. Senza tralasciare mai qualche battuta e raccontandoci tanti dettagli e aneddoti.
La nostra intervista inizia con una domanda secca. Di quelle che ti fanno parlare ‘finchè hai fiato’.
Cos’è per te la Dakar?
“La Dakar per me è una gara epica, un mito. Negli anni ’90, quando ancora si correva la pericolosissima Dakar africana, io ero ancora un bambino ma la ricordo bene. Io mi avvicinai al mondo dei rally dalla pista con l’obiettivo di partecipare alla Dakar, ma mi sono ritrovato in una Dakar che non era quella che io mi immaginavo. Rimane una gara difficile, ma ora è un evento sportivo, mentre la vera Dakar era un evento umano più che sportivo. È una gara difficile, ma ora è una gara di velocità in cui ci sono pericoli ed è possibile restare fuori una notte, come accadde a me nel 2016, ma comunque ero monitorato con GPS e vari sistemi di rilevamento. Manca il brivido del perdersi per giorni e ritrovare la carovana per pura fortuna, senza contatti radio e quant’altro, magari aiutato dai locali e con la sola forza di volontà”
La gara, quest’anno in Arabia Saudita, prevede un percorso nuovo in scenari nuovi per la Dakar. Quali sono le maggiori differenze secondo te tra questo nuovo percorso e quelli vecchi?
“È una domanda a cui non posso risponderti con esattezza visto che non sono mai stato in Arabia Saudita. Da quello che ho sentito, i terreni sono malto vari. Credo quindi che l’organizzazione abbia studiato un itinerario per renderla veloce come la vecchia Dakar rendendola però molto difficile come come quella vista in Sud America.”
La navigazione, quanto è importante? Molti piloti hanno elogiato la complessità della navigazione della Dakar 2020, pur con qualche lamentela legata alle interpretazioni nonostante i roadbook siano uguali a quelli degli anni passati. Quanto è realmente difficile non perdersi?
“La navigazione non è cambiata. È cambiato il fatto che adesso l’organizzazione consegna i roadbook a 10 minuti dalla partenza e non la sera prima. Questo faceva in modo che i team più grandi si potessero avvantaggiare avendo al seguito persone che si occupavano solo di studiare i roadbook durante la notte, aggiungendo riferimenti e dando consigli. I team piccoli non potevano permettersi queste persone, quindi non avevano questo vantaggio. Ora questo vantaggio è venuto a mancare, visto che tutti i piloti ricevono i roadbook poco prima della partenza. Si sta vedendo quindi un livellamento delle prestazioni. I team professionisti, quindi, non avevano solo una performance migliore ma traevano vantaggio anche dal lavoro fatto dai map man durante la notte. Tornando alla parte principale della domanda, posso dire che la navigazione è fondamentale in questo tipo di competizioni. Io sono appena tornato dal Safari Rally in Kenya, in cui la maggior parte dei chilometri totali, che sono 5.000, si corre su strade già segnate, che sono quelle utilizzate dai locali per spostarsi abitualmente. Quando sei nel deserto o nelle steppe russe come quelle che trovi nel Silk Way Rally, devi avere un buon navigatore o diventa estremamente facile perdersi. Ancora più difficile se parti davanti, dove non hai nessuna traccia di passaggi precedenti.”
La Dakar è una sfida fisica, mentale, meccanica o tutte assieme?
“Dal mio punto di vista, considerate le mie caratteristiche, è soprattutto una sfida mentale. Fisicamente siamo tutti abbastanza allenati, ma è ovvio che quando la testa ti ‘molla’, anche il corpo ti abbandona. Se le cose vanno bene, quasi non avverti la fatica. Se le cose vanno male, la fatica ti sembra insostenibile. Dal punto di vista della meccanica, il controllo dell’equipaggio è molto basso, quindi se le cose vanno bene non dipende da chi guida. L’ultima Dakar è andata male proprio per problemi meccanici, visto che l’altitudine ha messo a dura prova il nostro motore ad aspirazione naturale.”
Alonso alla Dakar, bene o male?
“Innanzitutto buon per lui che partecipa alla gara più bella del mondo! E poi, battute a parte, non posso che esprimere massima stima per un pilota che arriva da una disciplina totalmente differente. Se sei forte in pista non è detto che tu sia forte anche nel fuoristrada, quindi mettersi in gioco non è facile. Abbiamo visto gente che ha fatto il passaggio inverso e non è riuscita a primeggiare in pista come aveva fatto fuoristrada, nonostante una netta superiorità tecnologica. Oppure passare dal WRC alla Dakar e non vincere. Le discipline sono diverse, così come è diverso il modo di affrontare le gare. Auguro il meglio ad Alonso, ma temo che non sarà facile portare a casa il massimo risultato.”
E delle assenze importanti che ne pensi? Quanto queste assenze possono ‘fare male’ alla Dakar?
“Più che sulle assenze, mi concentrerei sulle presenze. La presenza di Alonso ha fatto in modo che la Dakar tornasse ad avere un certo seguito in alcune aree geografiche del mondo e tra appassionati che prima non seguivano la Dakar. Qualche appassionato di F1 e di gare in pista, probabilmente seguirà la Dakar grazie ad Alonso”
La tua scelta di partecipare alla Dakar è stata fatta per seguire le orme di tuo padre o no?
“Non parlerei di orme. Sicuramente sono stato ispirato da lui, ma era una Dakar diversa. Esistevano molti piloti amatoriali che decidevano di vivere questa avventura, sapendo quanto fosse bello e rischioso prendere parte ad una gara così, che rimane sempre la più bella del mondo. Ora è molto più semplice sotto alcuni punti di vista: come ho detto all’inizio, è molto difficile perdersi per molto tempo e vagare in cerca di tracce del passaggio di altri o imbattersi nei locali e chiedere aiuto per tornare al bivacco. Mio padre partecipava solo per divertirsi e per fare questa magnifica esperienza, vista la possibilità di vedere luoghi e paesaggi praticamente sconosciuti. Forse anche il fatto che ormai il mondo sia molto facile da esplorare, ha tolto un pò di fascino a questa magnifica manifestazione che, nonostante tutto, rimane la più bella del mondo”
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