Nel 2019 ricorre il cinquantesimo anniversario della prima e unica vittoria di Mario Andretti alla 500 miglia di Indianapolis. Questo mezzo secolo è reso particolare non tanto dal fatto che sia stata la prima affermazione dell’italo-americano nel catino dell’Indiana, ma perché è stata l’unica in 29 partecipazioni dal 1965 al 1994. Da quel momento in poi, una sorta di maledizione ha avvolto sia lui, sia tutta la sua famiglia, a partire dai figli Michael e Jeff, proseguendo con il nipote (figlio del gemello di Mario, Aldo, ndr) John e continuando con Marco, unico Andretti ancora in attività.
MARIO ANDRETTI
Partiamo dal 1965 quando Mario Andretti fa il suo debutto alla Indy 500 conquistando un quarto posto in qualifica e uno strabiliante terzo gradino del podio in gara, che ne ha fatto di lui il Rookie of the Year di quella stagione, oltre che a promessa per il futuro di questo evento.Gli anni successivi non sono però stati all’altezza del primo, ma non per colpa sua. Per tre anni consecutivi, infatti, Mario è stato costretto al ritiro a causa di problemi meccanici o legati al motore.
Anche il 1969 non è partito nel migliore dei modi, ma questa volta lo stesso Andretti era stato protagonista di un incidente durante il corso delle prove libere, il quale lo ha costretto ad usare una seconda vettura, oltre ad avere pesanti bruciature sulla sua faccia. La speranza non è nemmeno tanto alta dato che il team Granatelli, a cui è approdato in quell’anno, non era riuscito a vincere le passate due edizioni per problemi alla turbina, anche se comunque Mario riuscirà a qualificare la vettura in seconda posizione dietro a quella di AJ Foyt. Il pilota istriano ha condotto 110 giri su 200, dovendo lottare anche con una serie di problemi incappati sulla sua vettura dopo l’ultimo pit-stop. Per sua fortuna è riuscito comunque a tagliare per primo il traguardo conquistando il primo trionfo nel Catino con oltre due minuti di vantaggio su Dan Gurney, giunto 2°.
Tanta fortuna in quell’ultimo tratto di corsa. Troppa verrebbe da dire osservando il futuro di questo evento per la famiglia Andretti. Nel 1970 è stato protagonista di un altro incidente durante le libere, finendo a muro in curva 4, mentre in gara non è andato oltre la sesta posizione. Dal 1971 al 1975 ha infilato cinque ritiri consecutivi, due per incidenti, due per problemi meccanici e, caso particolare, nel 1972 ha dovuto alzare bandiera bianca a sei giri dal termine per mancanza di carburante, scivolando ottavo in classifica.
Nel 1976 approda al Team Penske che quell’anno predisponeva di una McLaren alimentata da motore Offenhauser. Le qualifiche non andarono molto bene dato il 19° tempo, anche perché ha dovuto fare tutto “di fretta” nella seconda giornata di qualifiche, dato che la prima si è disputata in concomitanza con il GP del Belgio di F1. Per partecipare alla Indy 500 dovette saltare il GP di Monaco, ma in gara non ottenne più di un ottavo posto.
Questo è stato il miglior risultato ottenuto al volante delle vetture del team di Roger Penske, dato che per due volte è stato costretto al ritiro, mentre nel 1978, anno del suo titolo mondiale in F1, è partito ultimo e giunto 12°. Mario era stato il più veloce nelle giornate di apertura, ma negli unici giorni di qualifica, per lui disponibili, il meteo non è stato dei migliori, costringendo i piloti a girare quando Andretti è stato impegnato a trionfare al GP del Belgio. A qualificare la sua vettura alla corsa è stato Mike Hiss, ma quando Mario tornò, fu costretto a partire dal fondo dello schieramento per regolamento.
Nel 1981 e 1982 Andretti è in forza al Patrick Racing, con il quale nel primo anno riesce a ottenere il suo secondo miglior risultato nel Catino, ovvero un secondo posto, mentre l’anno successivo è stato costretto al ritiro prima ancora che venisse sventolata la bandiera verde.
Dal 1983 inizia un lunghissimo sodalizio con il Newman/Haas Racing con cui concluderà la gara solo quattro volte in dodici partecipazioni. Il miglior risultato è il 2° posto del 1985 a cui seguono il nono posto del 1987, il quarto del 1989 e il quinto del 1993. Bisogna sottolineare la particolare edizione del 1987, in cui Mario Andretti dominò tutto il percorso, dalle libere, alle qualifiche alla gara. Un problema a una valvola, però, tradì lo statunitense a soli 23 giri dalla bandiera a scacchi.
Per concludere questa lunga carriera di Mario Andretti a Indianapolis, un suo ritorno delle prove libere dell’edizione del 2003 vide l’ormai sessantatreenne al volante della vettura del team del figlio, in sostituzione di Tony Kanaan, reduce da un incidente nella gara in Giappone. Il suo passo è stato strabiliante, nonostante l’ormai anziano Andretti, non corresse più da quasi un decennio. Caso volesse che anche questa volta dovesse andare a firmare il muretto con la propria vettura.
MICHAEL ANDRETTI
Il figlio di Mario è stato il secondo della famiglia Andretti per numero di partecipazione alla “The Greatest American Race in the World“. Per lui ben 19 presenze nel catino dell’Indiana che, a differenza del padre, hanno visto solo tre podi, ma mai un trionfo.
La sua vettura all’Indianapolis Motor Speedway iniziò nel 1984, anno in cui, così come il padre, scattò dalla quarta piazza in griglia di partenza, ma a differenza di Mario, giunse quinto al traguardo. Così come l’italo-statunitense, Michael vinse il premio di Rookie of the Year al termine della stessa stagione.
Il 1985 non andò meglio dato che Michael fu protagonista di un incidente nel corso delle prove e in gara non riuscì comunque a fare meglio di ottavo. L’anno dopo, però, sempre al volante di una delle vetture del team Kraco, Michael conquistò la prima fila in qualifica con il terzo tempo, mentre in gara concluse al sesto posto. In questa edizione diverse sfortune si avventarono su di lui. Dopo aver condotto 42 giri e aver figurato meglio di Mario, Michael ebbe un problema al set di gomme montato durante il primo pit stop, mentre durante un’altra delle soste, fu chiamata una caution che lo fece sprofondare in classifica con un giro di ritardo.
L’anno successivo un incendio divampato durante la sosta ai box lo costrinse al ritiro, mentre nel 1987, ultima stagione a difendere i colori della Kraco, Michael concluse ai piedi del podio, soprattutto per il fatto che i motori Chevrolet avevano la peggio sui motori Buick in rettilineo.
Nel 1989 inizia, anche per Michael, l’avventura con Newman/Haas, durata fino al 1995, ad eccezione del 1994, anno in cui passò in forza al team di Chip Ganassi. In questo percorso, solo il 1991 ha sorriso allo statunitense, dato che nelle restanti partecipazioni non è mai riuscito a giungere al traguardo. Sia in questo anno che nel successivo, Michael Andretti è stato il pilota ad aver disputato il maggior numero di giri al comando, senza però riuscire a portare a casa il successo.
Il capitolo conclusivo inizia diversi anni più tardi. Dopo una pausa di cinque edizioni, nel 2001 Michael decide di tornare al volante alla ricerca di quella tanto dannata Indy 500. Per farlo sale nella vettura del Team Green che due anni più tardi sarebbe diventato di sua proprietà. E’ in questo percorso che ottiene due dei tre podi, il primo proprio nel 2001 e l’altro (entrambi terzi posti, ndr) nella particolarissima edizione del 2006.
JEFF e JOHN ANDRETTI
Breve parentesi dedicata anche all’altro figlio, nonché fratello di Michael, Jeff Andretti e a suo cugino (figlio di Aldo, fratello di Mario) John Andretti.
Jeff è stato il pilota con meno presenze alla 500 miglia di Indianapolis, solo cinque, di cui in solo tre occasioni è riuscito a trovare la qualificazione. Nel 1990, anno della sua prima partecipazione, ha mancato l’accesso alla gara nel bump day per aver segnato il quarto tempo, mentre l’ultima è avvenuta nel 1994 quando non ha nemmeno preso parte alle qualifiche.
L’anno successivo però ha ottenuto la sua rivincita conquistando l’undicesima posizione in griglia e la quindicesima (anche se ritirato a 50 giri dal termine per un problema al motore, ndr) in gara. Non un risultato eclatante, ma tanto è bastato per renderlo, così come il padre Mario e il fratello Michael, Rookie of the Year di quella stagione. Anche nel 1992 e 1993 ha ottenuto il pass per la domenica della gara, ma così come nel 1991, anche questa volta Jeff non ha tagliato il traguardo, ma a causa di un incidente. Quella del 1992 potrebbe considerarsi l’anno peggiore della famiglia Andretti dato che su quattro partecipanti, solo uno è giunto al traguardo.
John, come detto, è il figlio del fratello di Mario. Lui ha partecipato a 12 Indy 500 tra il 1988 e il 2011, ma solo in quattro di queste ha potuto tagliare il traguardo.
Negli anni Ottanta le sue partecipazioni sono state costellate da due ritiri a causa di un problema meccanico, mentre nel 1990 il risultato è stato il medesimo, ma questa volta a causa di un suo contatto con le barriere. Il 1991, anno di approdo all’Hall/VDS Racing, è quello in cui ha colto il miglior risultato, un quinto posto che lo rende il secondo miglior Andretti al traguardo. L’anno seguente, sempre al volante dello stesso team, con gli stessi colori, ottiene un’ottavo posto.
Nelle due stagioni successive vestirà i colori del team di AJ Foyt, rivale storico dello zio Mario, con il quale otterrà due decimi posti e gli ultimi arrivi nella sua carriera nel Catino. Dopo una parentesi ultradecennale in NASCAR, John torna a Indianapolis nel 2007, partecipando ad ulteriori cinque edizioni (compresa quella del 2007, ndr). Solo nel 2008 e 2009 taglia il traguardo, ma con due miseri 16° e 19° posto, mentre nelle altre tre gare è stato costretto al ritiro.
MARCO ANDRETTI
Siamo giunti all’ultimo erede della dinastia degli Andretti, nonché unico pilota ancora in attività. Marco, figlio di Michael e nipote di Mario, è colui che più di tutti è arrivato a un passo dall’interrompere la maledizione che caratterizza la sua famiglia una volta giunti in Indiana.
Il 2006, come già anticipato, è l’edizione più particolare disputata dal 1970 in poi. Due Andretti a contendersi la vittoria a poche miglia dal traguardo. Al giro 191 Felipe Giasone causa una caution e al giro 194, dopo i pitstop di Dario Franchitti e Tony Kanaan, Michael e Marco Andretti si ritrovano rispettivamente leader e secondo in classifica. A 4 giri dalla bandiera a scacchi torna la bandiera verde. Un giro più tardi, in curva 1, Marco sorpassa il padre prendendo la leadership, mentre Michael prende il ruolo di difensore del figlio dall’arrivo di un agguerrito Sam Hornish Jr., ma il “nemico” passa in seconda posizione a due giri e mezzo dal termine, con Marco intento a fuggire.
A 5 miglia dal termine Marco è in vantaggio di mezzo secondo, ma Hornish recupera e tenta il sorpasso, commettendo un errore che lo porta ad un secondo dal leader. All’ultimo giro i due sono vicinissimi e all’uscita dall’ultima curva sono praticamente una vettura unica. Hornish sfrutta tutta la scia della Dallara di Andretti, beffando il giovane Marco sul traguardo per 0.0635 secondi, rendendo così quella del 2006 l’edizione con il secondo arrivo più in volata della storia.
Marco sembra essere il meno sfortunato della dinastia degli Andretti dato che in tredici partecipazioni (al momento della stesura dell’articolo, ndr) ha alzato bandiera bianca solo in tre occasioni. Dopo il secondo posto del 2006, il piccolo Marco ha ottenuto tre terzi posti nel 2008, 2010 e 2014, a cui si aggiungono tre arrivi in top ten. I peggiori risultati al traguardo sono il 13° posto del 2016 e il 12° della passata stagione (2018, ndr).
In occasione del 50° anniversario della vittoria di Mario Andretti alla Indianapolis 500, suo nipote Marco scenderà in pista con una vettura che richiamerà i colori di quella che è stata l’unica auto capace di far vincere un Andretti a Indianapolis.
ANDRETTI AUTOSPORT
Se per quanto riguarda i piloti della famiglia Andretti, vincere la Indy 500 sembra essere più impossibile che trovare un ago nel pagliaio, così non si può dire per il team gestito prima da Mario e ora comandato da Michael Andretti. A nome del team sono infatti arrivati non pochi trionfi nella gara più attesa del mese di maggio.
Il primo a portare al trionfo una vettura marchiata Andretti è stato Jacques Villeneuve nel 1995, quando la gara faceva parte del campionato CART. Una volta passata nelle mani della IndyCar, la gara sull’ovale dell’Indiana è stata vinta da Dan Wheldon (2005), Dario Franchitti (2007), Ryan Hunter-Reay (2014), Alexander Rossi (2016), il quale è stato il trionfatore dell’edizione n.100, e Takuma Sato (2018), nonché primo giapponese a ottenere la Borg-Warner Trophy.
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