Dopodiché, avendo finalmente ottenuto la prima vittoria in carriera in classe regina, Joan Mir è divenuto degno di essere annoverato nella fucina non dei fenomeni, bensì dei noumeni. Che Kant, Schopenhauer e compagnia filosofeggiante mi perdonino. Ricordate, dalle superiori, le definizioni di “fenomeno” e “noumeno“? Poco importa, perché ci avventureremo insieme in questo oltraggio a gas spalancato alla Filosofia.
Nel GP d’Europa, sul tracciato di Valencia, Mir ha coronato una stagione sinora eccellente con il primo successo in MotoGP, l’unico elemento mancante oltre a quello più importante e definitivo, il titolo. Ma perché definirlo noumeno e non fenomeno? Per Platone il noumeno era associato al concetto di “idea“, ovvero, per farla breve, un qualcosa non conoscibile attraverso l’esperienza, ma solo con il ragionamento; per Kant, invece, assume un significato più distante, identificando una realtà inconoscibile, alla quale il fenomeno, espressione dell’esperienza terrena, fa riferimento; per Schopenhauer, infine, il noumeno è ciò che si cela dietro il cosiddetto “velo di Maya“, ovvero il fenomeno, che però è fittizio, è solo rappresentazione del noumeno, che in questo caso è conoscibile. Le varie definizioni di questi concetti sono utili per fare un focus non solo su Mir, ma anche sugli altri protagonisti di questo Mondiale, quelli che vanno a comporre una sorta di generazione di noumeni.
Partendo dal portacolori Suzuki, calzano a pennello, incastrandosi fra di loro, le definizioni platoniche e schopenhaueriane. Salito agli onori della cronaca per aver vinto, anzi dominato, un Mondiale in Moto3 e per aver dimostrato buona rapidità di adattamento nell’unico anno in Moto2, Mir ha alternato tanti bassi e pochi alti lo scorso anno, iniziando poi il 2020 con una scivolata nel primo appuntamento di Jerez: non di certo una partenza coi fiocchi. Lo stesso Mir, però, agevolato anche dal fatto che i riflettori, causa assenza di Marquez, fossero rivolti tutti su Quartararo e Vinales, ha inanellato una serie impressionante di risultati di vertice, mostrando una tenuta mentale fuori dal comune. Ci è arrivato col ragionamento all’equilibrio pressoché perfetto di cui ora gode assieme alla sua GSX-RR, squarciando quel famoso velo di cui parlavamo poc’anzi, il velo della forza mentale, divenendo qualcosa “di più“. Divenendo noumeno, anziché fenomeno.
Noumeno lo è stato, per un certo periodo, anche Quartararo. Giusto il tempo di veleggiare e poi sprofondare nel mare delle sue fragilità, percependo quanto, in realtà, la sua identità sia ancora alquanto inconoscibile: vedasi la deplorevole sequela di errori giunti, anche, a causa della pressione ricevuta. Di Vinales, invece, si può azzardare che al noumeno non ci arriverà mai, poiché impelagato nel credere che un giorno la realtà sia questo, un giorno sia quello, fallendo sempre, inesorabilmente, rischiando di essere ricordato, poi, almeno come fenomeno, sì, ma da circus. C’è chi il velo, a volte, lo squarcia troppo forte, ma quando lo fa con la giusta intenzione, ne viene fuori una gran bella idea, come nel caso di Pol Espargaro e Rins.
Il GP d’Europa, in sostanza, ci sussurra ad alta voce che la psicologia gioca un ruolo fondamentale negli equilibri di un Mondiale, così come nella vita di tutti i giorni. La si potrebbe accostare ad un paio di forbici, utili a squarciare, con criterio, quel famoso velo che ci accompagna da inizio lettura. Per Dovizioso, ad esempio, a nulla è servita la sua attitudine razionale. Pur sfavorito, quest’anno, dal possedere un paio di forbici arrotondate, gli è mancato un elemento importante, catalizzatore: la curiosità. Declinata in forza di volontà. Di superare le caducità del terreno e di abbandonarsi all’ignoto dell’ultraterreno. O di fondere il tutto. L’ha fatto, completamente, una sola volta, in Austria nel 2019. Ma come cantavano gli Stadio: “Non siamo mica tutti uguali noi, c’è chi è più bravo sai“. A Valencia. Dopodiché…
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