JOAN MIR, 10 e lode – Concentrazione, talento e costanza. Questi i tre fattori chiave che hanno permesso al giovane asso di casa Suzuki di centrare il jackpot, al riparo da pronostici avventati ed investiture indiscrete. Un avvio di stagione a rilento è servito da inconsapevole trampolino a prestazioni via via crescenti, coronate con la vittoria di Valencia. Il tutto mentre i suoi colleghi più blasonati affogavano nel mare magno delle aspettative altrui. Gli anglofoni lo chiamano “hype”, ed è per questo che, a volte, fa bene essere fuori dall’hype.
FRANCO MORBIDELLI, 9 – La stagione di Franco, quel riccio che di capricci ne fa pochi e anzi, quasi ha paura di inciampare nelle vite della gente, ha visto susseguirsi, con cadenza frenetica, alti e bassi: la prima vittoria in MotoGP a Misano, il tremendo contatto con Zarco – dimostrazione che ci vuole del coraggio anche per aver paura – in Austria, il finale di stagione in crescendo, ma anche i ritiri a causa di forze esterne. Il titolo di vicecampione, così come quello di miglior Yamaha, miglior italiano e miglior pilota indipendente gli stanno stretti. Oro colato, però, rispetto alle previsioni ed ai paragoni svilenti di inizio anno; stampo per far sì che l’oro coli, in vista del prossimo anno. Perché è vero che ogni tanto nella vita devi solo aspettare.
ALEX RINS, 8 – L’importante infortunio di inizio stagione, assieme a qualche errore di troppo ed un paio di prestazioni anonime, hanno svilito la sua predisposizione naturale a competere per il titolo. L’ottima costanza, in ogni caso, ha permesso a Suzuki di giocarsela sino alla fine per il Mondiale Costruttori, oltre a rosicchiare punti importanti alla concorrenza, contribuendo alla vittoria finale di Mir. L’importante è essersi reso utile.
ANDREA DOVIZIOSO, 5 – Il giro di vite alla chiusura di un’onorata e lunghissima carriera è stato dato. Temporaneo o definitivo ce lo dirà il tempo, ma è chiaro come Andrea abbia inserito un pesante segnalibro in mezzo alle pagine più difficili della sua vita. Pare che abbia approcciato a questa stagione con filosofia, ma con quella di Kierkegaard: si è auto-posto un aut-aut, oscillante fra il tutto e il niente. Sfumato il titolo, il secondo posto e la sella in Ducati, ha mollato di colpo, scegliendo la via dell’anno sabbatico. Le alternative di certo non sbrilluccicavano, ma questa sospensione sa, dannatamente, di ritiro. Certo, la speranza è l’ultima a morire ma, nel frattempo, vaffanculo a te che te ne vai.
POL ESPARGARO, 8 – C’è sempre tempo per diventare maturo: c’è chi ci nasce, e c’è chi deve sforzarsi un pochino di più. La crescita di Polyccio è sotto gli occhi di tutti, finalmente abile a concretizzare ciò che una notevole dose di talento crea e che, troppo spesso in passato, un fare fumantino ha distrutto. L’abbonamento a cinque obliterazioni al terzo gradino del podio non può che essere un bel biglietto da visita per l’avventura più importante della sua carriera.
MAVERICK VIÑALES, 4 – Il giocattolo si è rotto dopo le prime tre gare del 2017: il binomio Yamaha-Vinales è divenuto, improvvisamente, ricettacolo di gioie, dolori, critiche, confusione. Il 2020 ha confermato, in piena regola, il trend storico: unica affermazione a Misano, punta dell’iceberg di una preoccupante serie di piazzamenti minori o uguali alla top 10. Tutto fuorché roba buona per vincere il Mondiale. Alle partenze a scoppio ritardato, Maverick ha aggiunto anche la strabiliante capacità di andare in tilt nel momento in cui subisce un sorpasso. Questo non fa altro che gettare ancora più ombre sul reale valore di questo pilota, che io, anche dopo cent’anni, non capirei.
JACK MILLER, 7 – Fautore della conquista del campionato costruttori per Ducati, nonché futuro pilota ufficiale. Jackass, alla stregua di Polyccio, ha fatto un click a livello mentale dimostrandosi, oltre che veloce, anche intelligente nel gestire le situazioni di gara. I podi di Valencia e Portimao esempi lampanti.
FABIO QUARTARARO, 5 – Quanti scherzi può fare la pressione. Ad inizio stagione le premesse per vederlo imperare v’erano tutte: forte, solido, velocissimo. Poi il crollo, verticale, repentino. Interrotto dalla brillante vittoria di Catalunya, arrivata mentre Mir, però, a suon di podi, iniziava ad ingolosirsi. Infine le ultime gare, da mani nei capelli. Molto difficile capire come la pressione abbia potuto schiacciare uno che si professava quasi immune ad essa. Veramente difficile, un po’ come la sfida finale di Takeshi’s Castle, che provi a capirla, e non capisci un cazzo. Ma d’altronde, ha solo 21 anni. La gioventù brucata, prima o poi, crescerà.
MIGUEL OLIVEIRA, 8 – La crescita KTM si deve sicuramente a Pedrosa, anima infaticabile dietro le quinte, e Espargaro, forte di un progetto di crescita quadriennale. Ma chi l’ha condotta al successo più volte – 2 – e che, salvo ritiri, ha mostrato una consistenza inaspettata, è stato Miguel. La vittoria finale a Portimao, poi, dolcissima ciliegina sulla torta, aspettando un 2021 dai colori ufficiali.
TAKAAKI NAKAGAMI, 7 – E’ irragionevole essere delusi della sua non presenza, almeno, in top 4? Il giapponese ha ingolosito tutti, traslando verso l’alto la sua costanza, già nota ai più, proiettandosi per qualche gara addirittura tra i papabili iridati. L’errore di Aragon ha posto fine al sogno.
BRAD BINDER, 7 – Lo ripeterò fino alla noia (e per fortuna ho validi alleati accanto a me): lo stile di guida di Binder è spettacolare. Così come lo è stata la vittoria di Brno, alla quale però è seguita una parte centrale di profondo adattamento. I presupposti per incantare però, l’anno prossimo, ci sono tutti.
DANILO PETRUCCI, 5 – Si conclude mestamente la storia d’amore tra una delle più importanti case italiane e uno che ha dovuto sgomitare più di tanti per arrivare al vertice. Il problema è che dopo il Mugello del 2019 è andato tutto storto. Eccezion fatta per Le Mans, dove hai colto una commovente vittoria, Danilo. Tu, che pagheresti tutti i tuoi giorni di sole per un singolo giorno di pioggia.
JOHANN ZARCO, 6 – Tanta velocità in qualifica, scarsa concretizzazione in gara. Insomma, nient’altro che l’esemplificazione di quello che è il suo pedigree.
ALEX MARQUEZ, 7 – E chi se le scorda le pantomime sulla “raccomandazione”, fornita da Marc, plausibilmente sfruttata da Alex. I risultati di inizio anno, in effetti, stridevano non poco con una promozione dalla Moto2 direttamente nel team ufficiale. Le Mans, prima, e Aragon, poi, hanno messo in luce tutto ciò che di positivo avesse il giovane Marquez, che non è Marc, ma è un pilota coi suoi pregi e i suoi difetti. Un’occasione per dire “io non sono come te, io sono diverso“, per far rimpiangere Honda di averlo impacchettato e spedito in LCR prima che il 2020 iniziasse.
VALENTINO ROSSI, 5 – La stagione più complicata della sua carriera, culminata con un divorzio che, a dire il vero, potrebbe far bene più a Rossi che al team ufficiale. Valentino è un’icona stellare del motociclismo, questo è risaputo. Il suo 2020 non è totalmente da buttare: il podio di Jerez, il secondo posto di Catalunya fino alla caduta, il 5° in Austria dopo aver rischiato letteralmente di morire, il 4° a Misano dopo aver lottato per la vittoria. Poi, però, una sfilza di ritiri (in gara e a casa, causa COVID) e un finale grigio e mesto. La “retrocessione” in Petronas permetterà a Rossi di concentrarsi solo sulla cosa che lo spinge a correre alla veneranda età di 41 anni, divertirsi, lasciando la bega a Yamaha di dover tenere a bada due primedonne e una moto che è più lenta della sua antenata. Ahia ahia ahi, Valentino, giuri che tra un po’ te ne andrai e alla fine però non lo fai mai. Per fortuna.
FRANCESCO BAGNAIA, 5 – Dispiace constatare come Pecco, dopo l’inizio più che promettente, l’infortunio e il primo podio in carriera a Misano, sia sparito completamente nel nulla. Ha impressionato, in negativo, soprattutto la grande fatica mostrata nel trovare ritmo nel corso del weekend, che l’ha condotto poi a compiere scelte errate in gara. E l’anno prossimo lo aspetta la Ducati ufficiale. Si spera, con premesse più felici.
ALEIX ESPARGARO, 5 – Arduo valutare l’operato di un pilota che sicuramente ce la mette tutta per sviluppare una moto che è evidentemente indietro, salvo poi, però, dilapidare con atteggiamenti scriteriati quel poco di buono che si è costruito.
CAL CRUTCHLOW, 5 – Mancherà la sua genuinità che, a differenza di altri, seppur con modi anticonvenzionali, ha sempre fatto breccia nel cuore degli appassionati. Questo è stato proprio un anno no. Ci si augura di vederlo il più presto possibile in una wildcard con Yamaha, beneplacito o no di Jorge Lorenzo.
STEFAN BRADL, 6 – Ha faticato quando la Honda faticava, ma nel frattempo ha lavorato sottotraccia per renderla una moto più “umana”, facendone cogliere i frutti prima ad Alex Marquez, poi a lui stesso, chiudendo la stagione con un weekend di vertice a Portimao. Non un caso che Puig l’abbia riconfermato per il 2021 come tester. O, viste le condizioni ambigue di Marquez, qualcosa di più.
IKER LECUONA, 5 – Non un campionato da incorniciare, ma utile, comunque, a macinare esperienza per il futuro. Iker, il cui compleanno cade il 6 gennaio, spera che la Befana gli porti un ’21, e dei 21, all’insegna delle soddisfazioni.
BRADLEY SMITH, 5 – Con un’Aprilia così, dovendo ri-vestire i panni del titolare per sostituire un pilota che, a causa della sua intricata situazione, tiene, implicitamente, sotto scacco un’intera squadra, chiedere di più è impensabile. Rischia l’acuto a Le Mans, scivolando poi e concludendo la stagione anzitempo di 3 Gran Premi per dare spazio a Savadori.
TITO RABAT, 3 – Le reali conseguenze dell’incidente di Silverstone di due anni fa sono note solo a Tito, che da quel momento è divenuto vergognosamente lento. Ciò che sorprende è la sua ostinazione nel voler affermare di aver ottenuto tanto quanto gli altri, il che è smentito chiaramente dai risultati. Un vero peccato che un due volte campione mondiale, nonostante abbia militato nel Mondiale grazie alle ingenti valigie di denaro, termini in modo così astioso la sua carriera.
MICHELE PIRRO, 6 – Due gare discrete, tanto lavoro da collaudatore.
LORENZO SAVADORI, 6 – Aprilia, al netto della situazione, non può che puntare su Lorenzo. Tanta grinta, tanta voglia di fare, per proseguire quel percorso iniziato insieme in Superbike, troncato bruscamente con l’uscita della casa di Noale dalle derivate di serie.
MARC MARQUEZ, 0 e lode – Caro Marc, sei riuscito ad essere il protagonista, un po’ meno assoluto, anche quest’anno. Lo sei stato poco in pista, il tanto che basta per far strabuzzare gli occhi a tutti prima con un salvataggio estremo, poi con una caduta devastante, infine con un tentativo di rientro post-infortunio che definirlo “lampo” è un eufemismo. Il grosso della parte l’hai svolto, però, da casa, senza che tu muovessi un dito. Hai permesso, inconsapevolmente, che tutti i piloti in griglia, chi più chi meno, gettassero il cuore oltre l’ostacolo e approdassero alla consapevolezza che “sì, anche noi sappiamo vincere”: insomma, una sorta di messaggio agli alieni, ai tuoi pari, per dire che in fondo anche noi uomini non siamo così male. Sei anche riuscito a scaricare tutta la pressione, che un pluri-Campione del Mondo come te si lascia scivolare come nulla, sui tuoi acerrimi rivali, che hanno clamorosamente steccato. Sei stato anche l’artefice, indiretto, del Mondiale più imprevedibile della storia recente di questa competizione. C’è a chi è piaciuto, e si è trovato nell’imbarazzo di non sapere per chi tifare, ripiegando su una visione degli eventi più neutrale e pura. C’è a chi, invece, non è andato proprio giù, deluso da una debacle repentina della vecchia guardia, sostituita a spizzichi e bocconi dalla ruspante cavalleria dei giovani. La speranza mia, di tutti, è che tu possa presto tornare ad incantare il Mondo intero con il tuo spettacolare mix di genio e sregolatezza, magari un po’ meno dominatore in stile “se giochi con me perdi tutto, se gioco con te crollerai“, un po’ più versione rookie iper-talentuoso che deve (ri)abituarsi ai meccanismi della MotoGP. Da questo tuo 2020, infine, è emersa una nota: che tu sei come sei, perché la tua vita va troppo veloce, più dei giudizi degli altri. Perché non acceleriamo anche noi?
Canzoni citate (in ordine di apparizione): Fuori dall’Hype, Lake Washington Boulevard, Bergamo, Sashimi, Monopoli, Nonono, Gioventù Brucata, Antartide, Scatole, Freddie – Pinguini Tattici Nucleari
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