“C’è qualcosa che non va
Per essere seduti qui
Per dirsi almeno
E dire almeno le cose inutili“
Toh, un’altra citazione musicale. Prego si serva, Loredana Bertè, per lei una arrogantissima destrutturazione semantica. Come, è un termine inventato? Oh no, ho destrutturato anche la lingua italiana. Un po’ come Marquez ha destrutturato il suo omero, ma non solo. Ebbene sì, il Cabroncito è reo di aver destrutturato (giuro, tra un po’ mi sbarazzo dello Zingarelli che ho sottomano) anche pareri tecnici di chi una moto non l’ha mai guidata, così come argomentazioni etiche di una parte di carta stampata, e non, che spesso si è ritrovata ad esaltare i gloriosi tempi passati – quelli in cui i “piloti […] correvano con le braccia insanguinate” (cit. Giacomo Agostini), e al contempo criticare l’insipidità di quelli moderni. Io me l’immagino Marc, sul divano, comodo, mentre scorre sul telefono migliaia di critiche/lodi/inserzioni pubblicitarie/pareri (un giorno gli arriverà anche il mio, forse), che esclama: “Cosa ti aspetti da me?“
Perché il nocciolo della questione è proprio questo: tu che stai leggendo questo articolo, tu che lo stai chiudendo perché “due balle ‘sto qui”, tu che stai commentando su Facebook, al bar, con la zia, col cane, con le tue multiple personalità: noi, che cosa ci aspettiamo, esattamente, da Marquez? Qual è la linea di demarcazione che separa il considerarlo un fenomeno dall’etichettarlo come brocco, sborone, svalvolato? Ma soprattutto. E’ un atteggiamento logico aspettarsi un qualcosa da un pilota?
Io queste risposte non le ho. Così come non le ho, gioco forza, su aspetti etici, ma ancor più tecnici, del caso. Non sono un’ingegnere, un pilota, così come un maestro di vita. E’ assolutamente lecito, però, farsi un’opinione della vicenda, così come di qualsiasi altra situazione. Me la sono fatta io, se la sono fatta in tanti, ed in questo non c’è assolutamente nulla di male, finché l’opinione conserva il carattere della personalità e della soggettività. E’ quando l’opinione diviene troppo ruspante, aggressiva, o addirittura dogma, che la situazione degenera.
In tanti hanno parlato di spettacolarizzazione messa in atto da HRC, Dorna, personale medico e lo stesso Marquez. Gli stessi che hanno puntato il dito contro il colosso giapponese per aver anteposto il business all’healthiness; contro l’organizzazione spagnola per aver aderito al gioco; contro i camici bianchi per aver peccato di professionalità; contro il 27enne di Cervera per aver gettato alle ortiche un Mondiale che lo avrebbe visto, ancora una volta, protagonista, credendosi eroe, riscoprendosi umano. In questi giorni mi sono ritrovato a definirle, molte di queste, “chiacchiere“, perché basate su caducità e condivise, in pompa magna, aumentando, inutilmente, la eco di un evento che, seppur unico, ha molte coincidenze con altri del passato.
E’ più interessante a mio avviso, invece, analizzare i dati oggettivi – o quasi – della vicenda. Ad esempio, il come Marquez abbia dovuto sottoporsi ad un nuovo intervento per sostituire la placca in titanio, evidenziando l’eccessivo sforzo subito nel recupero lampo dell’Andalucia. O ancora. Il come Honda si sia ritrovata, seguendo pedissequamente la strategia del “un Primo e tanti secondi“, a dover lottare nel costruttori con un debuttante, un oggetto misterioso e un acciaccato (a tal proposito, consiglio la lettura dell’articolo di Matteo Aglio su GpOne). E ancora. Di come i medici abbiano dato un nulla osta forse troppo frettoloso, questo il parere di alcuni loro colleghi sparsi in giro per il mondo.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe dire: “Ma non hai parlato degli stessi argomenti di chi tu critichi?” In soldoni, sì. L’importante, però, è il modo con cui lo si fa. E’ vero, “in biologia non esistono fenomeni” (cit. Prof. Alessandro Castagna), e probabilmente tutti, in questa vicenda, hanno una punta di responsabilità. Ma chi siamo, noi, per dire cosa avrebbe dovuto fare, realmente, Marquez? Ha agito, ha provato, ha azzardato, come ha sempre fatto. Gli è andata male, ma ci ha provato. E non venitemi a parlare di “atteggiamento diseducativo”: come se il rischiare la vita ogni weekend in pista non lo sia già, un po’, di suo.
As usual, opinione personale. Però, “mo’ avast!“.
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