“Non so se ce la farò mai a diventare campione del mondo di MotoGP, ma di sicuro ci proverò fin quando potrò!“
Credo fermamente che il talento e la bravura di un pilota non si misurino esclusivamente in base al numero di titoli vinti. Questo vale anche nella vita quotidiana. Avere un titolo scolastico in più è una condizione sufficiente ma non necessaria per essere una persona migliore. Molto spesso questo concetto sfugge alle menti dei più, che si aggrappano a banalissimi paragoni per etichettare persone, senza conoscere minimamente il loro background. Tutto ciò riesce più facile quando i più formano una massa consistente, certamente meno scalfibile di quattro gatti isolati. Verso Dani Pedrosa, seppur in maniera molto meno tragica rispetto alla premessa, gli apprezzamenti sono stati accompagnati da critiche, insulti ed un atteggiamento generale di sprezzante indifferenza. La sua colpa? Non esser riuscito a vincere un titolo mondiale in MotoGP. Nonostante 54 vittorie, 153 podi e 49 pole position. E’ un po’ come se si criticasse il Sole per non riuscire a riscaldarci adeguatamente anche in inverno. Ma si sa, la bocca è fatta per parlare…Perchè allora Dani Pedrosa non è mai riuscito a vincere un mondiale in MotoGP?
157 cm x 51 kg. A primo acchito, queste misure farebbero rabbrividire chiunque. Riuscire a far curvare un mostro di quasi 160 kg con così poca altezza e così poco peso, meriterebbe un’analisi approfondita da parte della Nasa ed un provino dall’ormai compianto Stan Lee. Per anni, sin dal suo debutto nel 2006, in molti si sono chiesti come ci riuscisse. Non senza difficoltà, ci mancherebbe. E sono state proprio queste difficoltà ad essere additate come principale causa della casella vuota alla voce “titoli mondiali in MotoGP“.
Tolto l’anno scorso ed il primo anno in 125, Dani è sempre stato in lotta per il titolo iridato, anche quando i compagni di squadra erano ingombranti e lo avrebbero potuto oscurare malamente. E nuovamente escluse quelle due annate, ha sempre ottenuto almeno una vittoria in ogni stagione disputata. Numeri importanti, che tuttavia non gli hanno permesso di agguantare il titolo iridato, a causa delle difficoltà sopracitate. Essere così “diversamente alti” e così leggeri, comporta un sforzo fisico enorme se paragonato ad un pilota di statura e peso medio. Vanno già fuori paragone piloti alla Valentino Rossi o alla Simoncelli, tanto alti e afflitti da altri problemi. Tutto ciò comporta una difficoltà nel far lavorare le gomme, nel farle raggiungere la temperatura giusta, e di conseguenza nell’handling generale della moto. Nonostante tutto, Dani è riuscito a giocarsela con i suoi avversari come se fosse alla pari, nascondendo dietro un faccione timido e sorridente tutta la fatica che provava e tutto lo sforzo in più che ci doveva mettere.
“Camomillo” – il nome con cui è stato battezzato da Guido Meda – mi ha sempre impressionato per un’eleganza disarmante nel condurre la moto attraverso le curve dei circuiti mondiali. Una perenne danza sinuosa che, al contrario di stili di guida più rudi alla Marquez o alla Miller, celava alla perfezione l’immane sforzo compiuto da quell’omino sproporzionato rispetto alla bestia a due ruote che si ritrovava sotto il fondo-schiena. Sin dal suo sbarco nella classe regina (grazie anche ad un supporto diretto di casa Honda), Dani ha da subito dato l’idea di potersela sempre giocare con i suoi avversari, sopperendo anche a gravi difficoltà tecniche (la Honda del periodo 2007-2010 era nettamente indietro rispetto alle concorrenti Yamaha e Ducati). Nonostante la grande competitività dimostrata, Dani non è mai riuscito a compiere l’ultimo passo. Ecco che qui entra in gioco un aspetto determinante, che non fa affidamento a dati scientifici e verificati, ma che potrebbe essere largamente condiviso dagli appassionati: la sfortuna.
Vuoi per il suo gracilissimo fisico, vuoi per la maligna convergenza degli astri, è andato incontro ad una caduta, un infortunio, un errore, sempre in momenti cruciali della sua carriera. Prendiamo in considerazione il caso più emblematico: il 2012. Dani Pedrosa vs Jorge Lorenzo, una sfida epica andata avanti per tutta la stagione, con moto e piloti entrambi alla pari. Tutti si ricorderanno la celebre battaglia di Brno, con sorpassi al limite delle convenzioni fisiche. I turning point della stagione furono però due: Misano e Phillip Island. In occasione della tappa romagnola, Pedrosa compie una falsa partenza, retrocedendo dalla pole al fondo della griglia. Si parte, tempo pochi giri e viene letteralmente scaraventato in aria dall’Hector Furioso (Barbera, ndr). In Australia, parte dalla terza casella, si stabilisce subito in testa, tempo pochi giri e scivola. Mondiale a Lorenzo. Il 2012 è solo un esempio, che fa pari e patta con gli infortuni del 2013, 2011, 2010 e 2008, tutti determinanti.
Alla stregua di tutto questo calderone di sfighe, Dani è riuscito in ogni caso ad incantare, nonostante ogni sua singola parte del corpo sia stata soggetta ad infortunio. Come dimenticare i 4 successi al Sachsenring, secondo più vittorioso dietro Marquez; le vittorie sotto il diluvio, a lui storicamente ostico di Le Mans nel 2013 e di Motegi nel 2015; il successo di Brno nel 2014, che spezzò il filotto di 10 vittorie consecutive di Marquez; il trionfo nell’assurdo Sepang nel 2015; e l’ultima vittoria a Valencia nel 2017, che gli consentì di sopravanzare Valentino per il quarto posto di soli 3 punti.
Può aver influito sicuramente su tutto ciò anche la grande bontà e generosità di Dani, che spesso lo ha portato a doversi eclissare dietro i campioni di turno ed adempiere al ruolo di guarda spalle. Guarda caso, l’ultimo anno in cui è stato veramente in lotta per il titolo è il 2013, primo di Marquez in MotoGP. Senza nulla togliere allo smisurato talento del cabroncito, ma è evidente che a partire dall’anno successivo Dani non è più riuscito ad imporsi in maniera importante come negli anni precedenti, salvo qualche sporadica vittoria, ottenuta in condizioni di relativa tranquillità mondiale.
Sta di fatto che Dani Pedrosa rimarrà sempre uno dei più grandi piloti della storia del motociclismo, senza se e senza ma. Nessuna critica potrà intaccare il talento cristallino del #26. Ma ahimè…
“La fortuna di avere talento non è sufficiente; bisogna avere anche il talento di avere fortuna“
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