Ritrovare l’amore.
Un colpo di fulmine, come la prima volta.
Due colpi, a dire il vero, da parte di un fulmine, monegasco.
Il primo a Spa, una vittoria all’università della f1, che per un 21enne non può che significare essersi già laureati a pieni voti, in corso e con tanto di bacio accademico.
L’altro a Monza, tempio della velocità e rito maledetto per la rossa, da 9 pesantissimi anni.
Tifare é amore, non c’è dibattito su ciò.
E l’amore é, a volte, sofferenza.
Anche qui non si discute.
E allora ti capita, certi giorni, di farti qualche domanda.
Il dubbio, si dice, è sintomo di intelligenza (si spera).
Dovremmo solo amare ciò che ci fa star bene?
Ha senso continuare ad amare, se ciò che ritorna indietro é una catena di amarezze e colpi al cuore?
Ed allora capita che inizi a smettere di guardare le prove libere, come facevi lo scorso anno, entusiasta dalla possibilità di tornare dove la tua storia ti vorrebbe.
É un silenzio che arriva progressivamente.
Passano i giorni.
L’oggetto del tuo amore si becca un minuto, 60 secondi di mazzate, in Ungheria.
I colpi al cuore si materializzano in due frecce d’argento, velocissime, puntuali; è un incubo a occhi aperti.
Poi arriva il giorno in cui c’è un impegno a pranzo, di domenica, quasi ti salta in mente di saltare la gara.
Si è spento tutto, sembra la fine.
E poi? e poi arriva un ragazzetto.
Ha la tua età, pure il tuo nome.
Un piede pesante, tanto quanto la responsabilità che comporta il sedile che occupa (egregiamente).
E lui calmo, impassibile, a tenere dietro per due weekend di fila un pentacampione del mondo.
Con quella faccia da angioletto a nascondere uno spirito da serial killer, fortunatamente sublimato al divertimento che propone il volante, direbbe Freud.
Due colpi, si diceva, di fulmine. Ma anche di giovane ed efficace follia.
Perché salire sui dissuasori a quella velocità, in curva 1, e sperare che non ti resti il piantone dello sterzo in mano, beh, non é normale.
Calcolare come chiudere la porta ad Hamilton senza dovrer cambiare traiettoria in frenata, alla roggia, é si da mente malefica e geniale, ma anche da TSO immediato.
Ma é andata così.
Il destino non voleva che Charles vincesse.
Era stato deciso che il digiuno sarebbe continuato. 10, 11, o anche 12 anni, chissà.
Ma no.
A Charles non andava giù.
E allora giù, questo si, il piede destro e tra pennellate giottesche in parabolica e controlli a mo’ di Gilles alla Ascari, il giovane Charles ha battuto, in ordine di importanza, il destino, Lewis Hamilton, Toto Wolff, James (il magico stratega) e Valtteri Bottas.
Un gruppetto niente male.
Ed è cosi che, di colpo, al giro 53 i dubbi di cui si parlava si sono sgretolati manco fossero Bottas che blocca a curva 1 e vede volare via l’ultima chance per puntare al mondiale.
E cosi ti ritrovi sotto al podio più bello del mondo.
Inno di Mameli stonato a squarciagola.
Il cuore rosso sventolato da centinaia di tifosi, quelli veri.
Il box Ferrari in visibilio.
E ti dici che si, aspetteresti anche più di 21 anni (ogni riferimento al passato è puramente casuale) se fosse necessario.
Grazie Charles!
E adesso ci godiamo le qualifiche di domani con un altro spirito.
P.s.
C’è un’altra persona che vorrei ringraziare: Modesto Menabue, responsabile in pista dei motori Ferrari. Un’icona assoluta, con più di 500 gp alle spalle.
Dal GP di Monza, non a caso, è entrato nella Hall of Fame ufficiale della F1.
In Ferrari dal ’78! Non so se ci siamo capiti.
Ho sempre visto quelli li, quelli vestiti di rosso come supereroi, altro che Marvel.
E invece ho conosciuto Modesto (mai nome fu più azzeccato) che si é rivelato essere un superumano.
Mi porto a casa dai weekend di Silverstone e Monza la sua cortesia e la sua disponibilità, come i ricordi più belli del paddock.
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